La cultura del piagnisteo.

di Raffaella Fanelli.  Il titolo del mio articolo è stato preso in prestito da un mirabile libro scritto da Robert Hughes, in Italia edito da Adelphi. La dedizione al piagnisteo sembra essere diventata, a torto o a ragione, la principale attività degli italiani. Oltre a lamentarsi le persone sono anche molto disorientate dalle trasformazioni che la società occidentale sta vivendo, quella che il sociologo tedesco, Ulrich Beck, ha definito la “seconda modernità” caratterizzata dal passaggio da una società industriale ad una società così detta del rischio. Il rischio tende ad invadere ogni aspetto della vita di un individuo, generando insicurezza e paura per la totale mancanza di visibilità del futuro e, ciò che rende ulteriormente peggiorativo è la politicizzazione dell’economia creando così, una totale incomunicabilità tra la società civile e lo Stato, questi due mondi parlano, ormai linguaggi diversi e hanno anche obbiettivi diversi.Se analizziamo la crisi che ha colpito, in special modo i paesi dell’Europa meridionale, l’Italia, la Grecia, la Spagna, il Portogallo, vediamo che gli Stati di queste nazioni sono in totale bancarotta perché Stato e banca sono un tutt’uno inoltre non si riesce, o non si vuole, creare una vera e propria alternativa pur essendo lapalissiano che il sistema capitalistico è morente.Il così detto nuovo che avanza è latente nonostante le vecchie istituzioni e i soliti noti continuino a rimanere avvinghiati al loro modello neoliberista. In questo contesto così poco edificante la società civile che cosa può realmente fare? Dobbiamo subire pedissequamente il nostro ineluttabile destino sperando che la nostra classe politica e manageriale, totalmente ripiegata su se stessa, si accorga dei nostri bisogni, oppure, attivarci provando a creare un nuovo modus operandi con nuove prospettive?I cambiamenti sociali sono inevitabili e questa è una verità storica incontrovertibile, ciò che le persone devono decidere è se subire il cambiamento oppure esserne parte attiva. Questo tipo di comportamento però, non è da ascrivere alla totalità, generalizzare è sempre sminuente e non ci consegna una fotografia reale di una nazione. A livello sia locale e che individuale ci sono molti esempi che affrontano il problema del rilancio del mondo del lavoro, con nuovo approccio. Il mondo economico, improntato sul capitalismo sfrenato sta fallendo trascinandosi dietro intere nazioni, il mondo della politica sta cercando di illuderci raccontandoci che il prossimo anno ci sarà un miglioramento sia in campo economico che lavorativo ma, non sarà così. L’intero sistema sta morendo e, oltre a non potere prevedere quando ciò avverrà, è però presumibile che tutto ciò non sarà affatto indolore.Un esempio di come i cittadini si stiano sensibilizzando al problema si è avuto a fine settembre quando a Vaie in Val di Susa, che viene e sempre solo nominata dagli organi di stampa per le proteste No Tav, si sono organizzati gli Stati generali del lavoro che si sono rivelati una e vera e propria fucina di idee per rilanciare il lavoro e non solo in valle. Il tutto era costituito da otto tavoli e ognuno affrontava una tematica con le relative proposte. Il tavolo dedicato propriamente al lavoro ha affrontato il tema sul ruolo d’impresa e del mondo cooperativistico e su come queste ultime possono diventare sempre più sostenibili. Anche le aziende, con molta fatica, si stanno avvicinando al problema della sostenibilità e del bene comune, cercando di trasformare questi obbiettivi nel core business aziendale. Le aziende devono rivolgere la loro attenzione ad un nuovo tipo di prodotto, ovvero produrre benessere sia per chi lavora che per l’ambiente dando un nuovo significato ai profitti, facendoli diventare un mezzo e non uno scopo.Definire delle regole precise per la riscossione dei crediti nel rispetto delle tempistiche pattuite, per evitare che le imprese, in special modo quelle piccole-medie, debbano richiedere dei finanziamenti agli istituti di credito ad onerosi interessi. Cercare di eliminare il gap enorme che c’è tra il salario del manager e quello dell’operaio e ridurlo ad un fattore minimo. Inoltre, dobbiamo obbligatoriamente abbandonare l’economia attuale perché è ordinata dal mercato ed ha creato una società anch’essa di mercato dominando tutti i suoi aspetti. Le aziende dovrebbero abbandonare il loro assetto interno verticistico e coinvolgere i propri dipendenti nelle strategie aziendali, ed avere una visione ‘olivettiana’, essere innovatori con un’attenzione particolare al territorio.Un altro comparto che offrirebbe sin da subito lavoro è quello agricolo. In prima istanza evitare l’alienazione dei terreni demaniali ovvero, venduti al migliore offerente, come prevede la legge del 24 marzo 2012, n. 27, articolo 66, e pensare a dei programmi per incentivare i giovani ad avvicinarsi al mondo agricolo, permettendo loro di sviluppare delle piccole o micro imprese puntando su di una agricoltura di tipo biologico, facendosi anche aiutare dalla rete per affrontare, risolvere i problemi, promuovere i propri prodotti, acquisire clienti e scoprire e far scoprire un mondo che, nonostante tutto sta anch’esso informatizzando.Stiamo viaggiando su un treno che sta andando ad una velocità impressionante se si schianta l’impatto sarà violentissimo e catastrofico per tutti, cerchiamo di rallentare la sua corsa, la rassegnazione, l’indignazione e il lamento sono solo fini a sé stessi è urgente invece, un risveglio delle coscienze.

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