La Corte dei Conti boccia i tagli al pubblico impiego.

In tempi di crisi e di tagli torna prepotentemente alla ribalta la spesa pubblica italiana, insostenibile ed eccessiva per quelli che sono i servizi resi alla collettività in termini di efficacia ed efficienza! E se tagliare il numero dei parlamentari e i loro stipendi è demagogia, tagliare il numero dei dipendenti pubblici è un argomento che di tanto in tanto ritorna la centro del dibattito politico! I sindacati di categoria fanno orecchio da mercante e assecondano le direttive del governo avendo 151 milioni di euro di permessi sindacali da farsi ”perdonare”. A difesa del pubblico impiego, laddove il sindacato latita da decenni, interviene la Corte dei Conti: “La spesa dell’Italia per i redditi dei dipendenti pubblici è in linea con i principali paesi dell’Unione Europea. Il raffronto tra il numero dei dipendenti pubblici e il totale degli occupati, in forte discesa per l’Italia nell’ultimo decennio (dal 16,4% al 14,4%), evidenzia un peso della burocrazia sul mercato del lavoro pari a circa la metà della Francia e di gran lunga inferiore anche al Regno Unito. Con la politica di soli tagli al personale della pubblica amministrazione il risultato è stato un peggioramento della qualità dei servizi pubblici che impedisce il consolidamento di procedure, competenze e professionalità, con inevitabili, negativi riflessi sulla quantità e qualità dei servizi erogati”. Per la prima volta dalla privatizzazione del pubblico impiego il conto annuale rileva una significativa diminuzione del costo del personale, che si attesta su un valore di 152,2 miliardi (1,5% in meno rispetto al 2009). Il rapporto tra Pil e spesa per i redditi dei dipendenti pubblici è in continuo calo e raggiungerà, nel 2014, un valore pari al 10%. La Corte fa una stima dell’esborso per le finanze pubbliche dei permessi sindacali del pubblico impiego: “Nel 2010 il costo per l’erario dei permessi sindacali è di 151 milioni di euro. La fruizione dei diversi istituti (aspettative retribuite, permessi, permessi cumulabili, distacchi), può essere stimata come equivalente all’assenza dal servizio per un intero anno lavorativo di 4mila e 569 unità di personale, pari ad un dipendente ogni 550 in servizio!”. Così si è espressa la Corte nella relazione 2012 sul costo del lavoro pubblico. Alcuni comparti della P.A. sono stati colpiti duramente e si trovano in “forte scopertura” gli organici di forze armate, corpi di polizia, vigili del fuoco, prefetti, diplomatici, magistrati e professori universitari. “Il personale in regime di diritto pubblico – si legge nella relazione – rappresenta nel 2010 circa il 18% del totale complessivo dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, con una spesa pari a 25,5 miliardi. In netta flessione, rispetto al 2009, gli appartenenti alle varie categorie, in particolare professori universitari (-5,6%) e magistrati (-2,8%). Al termine del 2010 i dipendenti in servizio presso tutte le pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo indeterminato sono diminuiti dell’1,9%, calo che fa seguito a quello di analogo valore del 2009″. Per quanto riguarda poi il metodo meritocratico la Corte sottolinea: “Il blocco della crescita delle retribuzioni complessive e della contrattazione collettiva nazionale hanno comportato il rinvio, da un lato, delle norme più significative in materia di valutazione del merito individuale e dell’impegno dei dipendenti”. I giudici tributari osservano che “nel periodo 2005-2011 il divario tra le retribuzioni contrattuali del settore pubblico e quelle dei comparti privati subisce un drastico ridimensionamento, passando da un valore dell’8% al 2,6%, forbice destinata a restringersi ulteriormente per effetto del blocco della contrattazione collettiva per i soli dipendenti pubblici fino a tutto il 2014.”.

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