La contraffazione brucia 110.000 posti e 1,7 mld di tasse.

Non tutti possono permettersi un bel Rolex al polso, oppure una stupenda tracolla Prada. Non tutti possono esibire roba “originale”, ma dai prezzi esageratamente proibitivi. E allora c’è chi si accontenta di un ottimo orologio o di una bella borsa di pelle non griffata!!! Ma c’è pure chi non sa resistere alla “fanaticheria” di mostrare “la firma” e non potendoselo permettere si rivolge al mercato del “tarocco”! Imitazioni praticamente identiche all’originale che trarrebbero in inganno le stesse case costruttrici dell’autentico rigorosamente griffato!!! E così la vanità è salva, il figurone con amici e conoscenti assicurato. La stessa cosa non si può dire per il bene dell’economia nazionale, dacchè il “falso di marca” distrugge posti di lavoro e abbatte il pil! Senza la contraffazione in Italia ci sarebbero 110 mila posti di lavoro in più e 1,7 miliardi di entrate per il fisco. Lo afferma una ricerca del ministero dello Sviluppo economico con il Censis. Se i prodotti falsi fossero venduti sul mercato legale, la produzione salirebbe di 13,7 miliardi e le imposte (indotto incluso) di 4,6 miliardi. Il mercato italiano del falso fattura 6,9 miliardi di euro ed è così esteso che “non esiste prodotto che non possa essere imitato e venduto”. E’ quanto emerge da una ricerca del Ministero dello Sviluppo economico con il Censis. Per i cosmetici la crescita della contraffazione è stata di almeno 15 volte in 10 anni. I settori più colpiti sono l’abbigliamento e gli accessori con un giro d’affari del falso di 2,5 miliardi, i cd, dvd e software (1,8 miliardi) e l’alimentare (1,1). Sostiene il mercato del falso, secondo la ricerca del Censis, una domanda “consistente” da parte dei consumatori che sono “indifferenti al fatto di compiere un atto illecito e convinti di fare un affare”. La contraffazione spazia dai gioielli alle calzature, dal design ai giocattoli e perfino ai medicinali. Il fenomeno non riguarda solo l’imitazione di marchi, ma anche di modelli registrati, per esempio nella pelletteria e nell’arredo, la falsificazione dell’indicazione made in Italy e l’Italian sounding nell’alimentare e l’importazione parallela sottocosto di prodotti destinati ad altri mercati, soprattutto per make up e profumi.

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