Io non sto con i pastori. Io sto con le pecore sarde.

di Maria Teresa De Carolis. In rete, esiste un “counter” che trasforma in “numeri” gli animali uccisi nel mondo. Contatore creato da Barna Mink per divulgare il martirio animale che ogni secondo su questo pianeta è perpetrato. In pochi secondi da qualche decina di pecore, arriviamo a centinaia, solo pochi secondi.
La protesta di questi giorni dei pastori sardi per il prezzo del latte, 0,60 centesimi al litro, un prezzo sfavorevole, basso e insoddisfacente, offusca ciò che realmente esiste dietro l’allevamento degli ovini, più di 2 milioni e mezzo nella regione in questione.
Il counter, ad ora, è arrivato ad oltre mille animali uccisi.
Da millenni gli esseri umani si sentono autorizzati a utilizzare altri individui, esseri viventi non oggetti, allevare, sfruttare fino allo sfinimento, uccidere esseri senzienti senza diritti. A molti umani evidentemente conviene non pensare che ciò che è nel piatto, prima di essere ucciso, respirava. I pastori sono umani che nel tempo hanno appreso un lavoro che impiega e sfrutta individui, animali non umani, ma individui. La lotta per le quote latte esiste da decenni, i mercati, la giustizia di affermare i propri diritti di lavoratori.
Usufruire di esseri viventi per il proprio profitto non può essere considerato un diritto bensì un abuso.
Sebbene esista una carta dei diritti animali, stilata nel lontano 1978, nella sede di Parigi dell’Unesco, questa carta, contrariamente a quella per i diritti umani (Dudu), assolve i persecutori, gli animali sono condannati a esser uccisi, nel modo meno traumatico possibile e soprattutto in virtù di una “necessità” come recita l’articolo 11. Necessità umana di sussistenza e piacere, non parliamo di sopravvivenza. Il destino dei miliardi di animali che transitano su questo pianeta è di essere sfruttati e mangiati. Il diritto alla vita è in funzione del diritto umano di decidere per la sorte di altri esseri.
Il latte versato davanti al municipio è color rosso sangue, perché per produrre quel latte centinaia, migliaia di agnelli sono stati allontanati dalle madri, perché quel latte venisse gettato “per protesta”.
Nel 2017, un pastore di Ploaghe, nella provincia di Sassari, sgozzò le sue 135 pecore perché improduttive. Insieme al suo gregge anche i suoi quattro cani, il gregge non c’era più perché mantenere inutilmente anche i cani da pastore? Questo gentiluomo di 62 anni ha pensato bene di disfarsi nel modo che riteneva migliore e meno dispendioso. Seppure nell’eccezionalità di un fatto tanto atroce, nella realtà di ogni giorno non esiste allevamento rispettoso, non esiste uccisione che non comporti sofferenza e la filiera del latte è la stessa della carne.
Quando un animale non serve più, che sia mucca, cavallo, cane da caccia o pecora, è eliminato, non produce quindi è ucciso, tanto morirebbe comunque, quindi l’allevatore è autorizzato a ridurre il danno economico.
Intanto le pecore hanno raggiunto il numero di 14.000 nel counter…
Fare una scelta drastica che comporti la consapevolezza e la coscienza di ciò che realmente accade dietro le pareti di un macello è l’unica strada per restituire dignità agli animali. I pastori hanno le loro ragioni, il denaro e il “diritto” alla sussistenza, se non fosse a spese di qualcun altro, sarebbe una richiesta degna e inviolabile, ma c’è un assunto fondamentale che ribalta la realtà, la visione antropocentrica della protesta in questione, la Vita non può essere considerata parte di una catena sulla cui sommità una specie decide, piuttosto la facoltà di scegliere indipendente dall’abuso; l’essere umano non è sulla sommità di una piramide alimentare nella quale disfa e crea giustificativi per continuare ad alimentarsi di sofferenza.
Il sangue è sangue, per questo io sto con le pecore sarde.

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