Il paese che non c’è.

di Redazione. Una cosa è ormai certa. Non siamo un “grande” paese.

Non siamo un popolo unito e solidale con chi se la passa peggio: ognuno pensa al proprio orticello e vi si rinchiude dentro, lasciando fuori dalla porta tutto il resto.

Da una parte i lavoratori dipendenti, sia pubblici che privati, dallo stipendio più o meno magro, e comunque quelli del “poco, maledetti e subito”, i cosiddetti “garantiti”, coloro che – piove, nevica o c’è il sole – a fine mese hanno comunque lo stipendio.

Dall’altra ristoratori, bar, esercizi commerciali, partite Iva, ecc, ecc, che fino a quando incassano a piene mani – specie senza scontrino che è meglio per tutti! – non dividono con nessuno i loro profitti, ma non appena i rubinetti si chiudono, o stringono parzialmente le loro entrate, reclamano “aiuti” e “ristori”.

Nel mezzo la grande distribuzione alimentare e l’e-commerce che – per loro fortuna – non conosce la parola “crisi”.

Infine gli “ultimi”, coloro che per davvero non sanno come mettere insieme il pranzo con la cena!

Non c’è niente da fare. In questo paese ognuno va per conto suo! Non siamo gente onesta e per bene che paga regolarmente le tasse per quanto dovuto: anche se poi chi non versa neppure un euro al fisco gode ugualmente dei servizi pubblici.

Siamo il popolo del “magna e bevi”, che fino a quando non ha il morto in casa non comprende le sofferenze altrui.

Siamo quel popolo che pensa ai cenoni e alle tombolate, alle discoteche e alle settimane bianche, al cinema e allo stadio, mentre i bollettini sanitari ci consegnano ogni giorno centinaia di morti per Covid, con gli ospedali in piena emergenza, senza medici e posti letto, che rimandano indietro i malati di altre, ma non per questo, meno gravi patologie!

Siamo quel popolo che prima promuove la campagna per la vaccinazione antinfluenzale e che poi scopre di non avere i vaccini.

Siamo quel popolo che dopo il libera tutti di questa estate, si è ritrovato a fronteggiare la seconda ondata della pandemia senza aver potenziato il trasporto pubblico, senza aver messo in sicurezza le scuole, potenziato gli organici del personale sanitario, le terapie intensive e senza bombole d’ossigeno.

Siamo quel popolo che quando le mascherine chirurgiche non si trovavano, non erano necessarie a proteggere dal contagio, invece adesso, che farmacie e supermercati ne hanno interi scaffali pieni zeppi sono fondamentali, indispensabili e da portare giorno e notte, sempre e dovunque, persino dentro casa propria!

Siamo quel popolo eternamente diviso in tutto e per tutto, persino tra i cosiddetti “catastrofisti” e “negazionisti” del Coronavirus.

Questo è il paese che non c’è. Questo è il nostro popolo. E la nostra classe dirigente e di governo ne è la perfetta espressione.

Naturalmente sia tra la gente, sia tra chi amministra e governa la cosa pubblica ci sono quelle rare eccezioni che confermano la regola e sulle quali il paese ancora si regge in piedi. Ma fino a quando?

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7 Responses

  1. Anonimo ha detto:

    Un Paese dipende dalla SCUOLA ed in Italia non è che si investa molto sulla scuola

  2. Barby'77 ha detto:

    A robbè, sei un grande!

  3. roberto b ha detto:

    Gentile Elviretta-RI, una precisazione, io ho scritto “solo un piccolo appunto….” intendendo dire che il resto del post lo condividevo.Come condivido quasi tutto sul post di maddalena m.
    un saluto a voi roberto b

  4. maddalena m ha detto:

    Per una settimana l’Italia intera si è interrogata sulle scarpe della Lidl. Il successo di quest’operazione commerciale? Il marketing della scarsità, cioè aver messo nella testa dei consumatori la paura di perdersi qualcosa. Al netto della bravura della catena tedesca, al netto del giudizio estetico, non possiamo accettare che sia successa una cosa del genere durante una pandemia mondiale. File e ressa per accaparrarsi scarpe, ciabatte e calzini, da indossare e rivendere online. D’altronde in una società dove niente ha più valore, è la snickers a diventare oggetto del desiderio, meta da raggiungere. I social invasi di foto e meme, ma in tempi di Covid c’è poco da ridere. Come mai non ci sono le stesse file per dare una mano alla mensa della Caritas? Perché non c’era la ressa a protestare contro la chiusura di teatri e cinema? Come mai non c’è nessuno fuori dagli ospedali ad offrire una cioccolata calda a medici e infermieri dopo il turno in Terapia intensiva? Evidentemente è più facile non pensare. Serve una condivisione forte, più che di post, di valori sani e priorità. Ridiamo importanza alle cose giuste e sarà più facile per tutti resistere al fascino delle ciabatte.

  5. carlo testi ha detto:

    Siete solo capaci di criticare, senza proporre mai niente di costruttivo. Certo che tutti noi che abbiamo una certa sensibilità pensiamo anche e soprattutto agli ULTIMI: quei lavoratori che hanno perso o stanno perdendo il lavoro, quelli che perdono la vita sul posto di lavoro. Il fatto è che ristoranti, alberghi, imprenditori e commercianti si lamentano sempre, ma quando incassano se ne stanno zitti e buoni!!!!

  6. Elviretta-RI ha detto:

    Caro roberto b,
    Se leggi bene c’è anche un infine gli “ultimi”, coloro che per davvero non sanno come mettere insieme il pranzo con la cena! Se non ti basta, scrivi anche tu i tuoi perchè.

  7. roberto b ha detto:

    Solo un piccolo appunto, voi dite “i cosiddetti “garantiti”, coloro che – piove, nevica o c’è il sole – a fine mese hanno comunque lo stipendio.” Allora vi chiedo: i garantiti sono quei lavoratori che hanno perso o stanno perdendo il lavoro? i garantiti sono quelli che perdono la vita sul posto di lavoro? i garantiti sono quelli che DEVONO lavorare?
    un saluto roberto b

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