Il culo e lo stivale

di Antonio Angeli. È ora di inventare il partito che non c’è! Ma chi è questo Oliviero Beha che si permette di fare l’opinionista (televisivo o non) senza uno sciarpone firmato e senza occhialetti multicolori? Quel Beha lì, invece di declamare a gran voce il nulla, indignandosi per cose prive di qualunque importanza, ci spiega, con parole semplici e in modo politicamente scorretto, quello che pensa. E questo ha pure un senso, un collegamento di tipo storico con altri «uomini contro» e ha una parvenza, perfino, di essere un pensiero coerente e, udite udite, disinteressato. Insomma questo Beha, che non si mette giacche a quadretti con toppe fatte da qualche stilista e che sta lì tranquillo, ma quando parla ha l’aria di sapere quello che dice, sembra proprio uno di noi. Uno di quelli che si svegliano la mattina, vanno al lavoro, usano la pausa pasto per correre a pagare le bollette o lo stramaledetto F24, e poi si strafogano un panino e gli vengono i bruciori di stomaco. Forse più per aver pagato l’F24 che per aver divorato in fretta il panino di un bar. Ecco, oggi questo nostro amico, invece di stare lì al bar con noi a parlar male di come va in malora il Paese, ha deciso di fare le cose per bene e ha scritto un libro: «Il culo e lo stivale» di, appunto, Oliviero Beha, con la prefazione di Franco Battiato (ma chissà dove mai si saranno incontrati questi due), edito da Chiarelettere, 157 pagine, 12 euro. Cominciamo da questa parolaccia, ormai sdoganata, che indica il traguardo finale al quale è giunto il nostro Paese dopo tanto disgraziato girovagare. I governi virtuali, tecnici, politici, rimpastati, di transizione alla fine ci hanno portato a questo: al culo. «Culo, dal latino culus (forse prima dal greco koilos, vuoto concavo o dal sanscrito cushi, buco): buco, cavità», si legge nel dotto libro di Beha. Insomma siamo al buco, economico, culturale, esistenziale. Ormai l’Italia è in un cul de sac. per colpa (ma questo non lo dice Beha) della culona e allora tutto va’ ffan… Ma quello di Beha, anche se qualche volta usa un tono da birreria con gli amici, non è né un libro nichilista, né un manifesto qualunquista. È soprattutto l’analisi storica tagliente e disincantata di un ventennio che ci ha portato, appunto, al fondo… schiena. Nel libro di Beha si parla continuamente di denueclearizzazione e di deberlusconizzazione. Sembra che l’opinionista senza occhialetti multicolori si chieda come sia possibile essere favorevoli al plutonio, o a cose simili. In egual maniera come è possibile che tutti abbiano votato contro un’Italia superficiale, basata sull’immagine, infine effimera e inutile, ma che in pratica tutti si siano comportati secondo i canoni dell’immagine e della superficialità? Insomma Beha lo dice chiaro e tondo: chi ha votato contro Berlusconi, alla fine, si è comportato come e peggio di lui. E ancora: lui, il Cav, non ha mai invidiato i suoi avversari. I suoi avversari, invece, in molti casi, avrebbero voluto essere come lui. La domanda che tuona nel libro è: come abbiamo fatto a ridurci così? Ecco, per rispondere a questa domanda non bastava guardare l’oggi, ma bisognava guardare al nostro passato. Perché ci fa tanta paura lo spread? In fondo ai giorni nostri stiamo meglio di non molti anni fa. Il problema è che, crisi economica a parte, al posto dell’Italia c’è un cratere nel quale si è andata a depositare una massa informe. Un Paese che in modo profetico Pier Paolo Pasolini già figurava e prefigurava, oggi tradotto in tragica realtà, un caravanserraglio di orde di figuranti berlusconiani, che si duplicano sotto le mentite spoglie di tecnocrati alla corte di re Monti. È un quadro tragico, ma chiaro, quello del nostro bel-malpaese tratteggiato dalla penna di questo nostro amico. Scrive Franco Battiato nella prefazione al volume: «Questo libro di Oliviero Beha è uno di quelli che lasciano il segno. Con la freddezza di un chirurgo, fa un’analisi caustica e spietata, prendendo di mira i paradigmi della cultura contemporanea: la politica, la televisione (e la Rai), la pubblicità». Si legge nel libro di Beha: «In tutte le pagine di questo manualetto torna il concetto di “pace incivile” da cui dobbiamo uscire, eliminando alibi che ci hanno trascinato in questa deriva. La responsabilità di ciò che facciamo, e naturalmente diciamo in una stagione che ha svuotato le parole di senso e significato deresponsabilizzandole, e ancor prima pensiamo, è di sicuro una forma di “essenzialità”. Esattamente ciò che dovrebbe farci da bussola oltre la “necessarietà”, se intendiamo cambiare e non continuare a precipitare». E la Rai? È come l’Alitalia, un colosso che non si riesce a capire come possa andar male. La Rai è la prima azienda culturale del Paese, eppure certe volte sembra solo una tv commerciale che pensa a vendere dei prodotti. Ma come facciamo ad uscire da questo pantano? Il problema non è lo spread. Il problema è che nella stanza dei bottoni ci sono dei «cervelloni» che chiedono alle persone oneste di guadagnare di meno e spendere di più. Insomma è il sistema che è alla frutta. Beha, ad un certo punto si fa una domanda seria e pesante: la democrazia è un lusso che ci possiamo ancora permettere? Dipende. Una cosa è certa: per mantenere i valori di base del Paese non servono sacrifici, ma solo buon senso.

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