Il cane secondo me.

di Stefania Genovese. Di tutti i libri basati sul soggetto “cane”, il libro recentemente pubblicato dall’etologo, filosofo e zooantropologo Roberto Marchesini, Il cane secondo me. Vi racconto quello che ho imparato dai cani (Edizioni Sonda), è decisamente il più appassionante, suggestivo ed arricchente per esplorare e comprendere empaticamente questa creatura legata a noi, e dotata di una ricca e complessa alterità. Essa così profondamente interconnessa all’umano, è in grado di relazionarsi con noi molto più di un partner o di un affiliato famigliare, immedesimandosi nello status di vera e propria compagna formativa nello scrutare l’orizzonte degli eventi. E Marchesini, in questo libro mai ridondante, ma ricco di fascino ed avventura, vi riesce in modo egregio, adottando uno stile fluido,
arricchito dalla sua erudizione e dalla sua abilità di narratore. Ci addentriamo così in una lettura coinvolgente dove il flusso dei pensieri e di ricordi si intrecciano alle divagazioni sulla sua esperienza di vita con quei cani che maggiormente lo hanno accompagnato nei suoi trascorsi formativi ed esistenziali. Roberto Marchesini, un grande studioso di etologia e di entomologia non semplicemente amante di tutto il regno animale ma, prima di tutto un perspicace e curioso indagatore, sempre pronto a mettersi in discussione, e a ribaltare dogmi, convinzioni statiche e preconcetti culturali. Per questo motivo, occorre, come asserisce lo studioso bolognese, “mettersi sulle tracce del cane” seguendo un excursus storico che risale all’alba dei tempi e che induce a rivalutare completamente e soprattutto soggettivamente la figura del cane, in quanto creatura dotata di una individualità non così facilmente catalogabile o inseribile in un etogramma: “Esistono i cani, non il cane, cosicché ogni volta che ci si riferisce a un profilo specifico lo si deve fare sotto forma di range di possibilità espressive probabili e non come modello tipologico…”, scrive Marchesini.
In ciascuno di essi, non solo viene narrata la propria storia ma anche il background formativo e didattico che da essi ne è scaturito: Maya, Toby, Pimpa, Isotta, Spino, Bianca, Belle, e Filippo…Così simili nella loro canidità  ma così diversi, non tanto nella peculiarità della propria razza, ma nel loro temperamento, nel loro carattere, e nel loro rapportarsi ed inerpicarsi vicendevolmente all’uomo lungo il sentiero della vita. Le loro storie sono permeate da descrizioni quasi liriche, e rappresentative dell’ambiente, ove non è possibile non percepire il profondo rispetto e la cura verso di esso, di cui il Prof. Marchesini è sempre stato un accanito sostenitore. Ricordando il cane Maya, “ombra ingombrante di Rottweiler”, l’autore si interroga su come si possa essere una buona guida, perchè ciò è fondamentale per comunicare correttamente con il proprio cane, comprenderne il suo linguaggio ma soprattutto saper adeguare l’assertività comunicativa al carattere del cane stesso. Un dialogo che si snoda attraverso percorsi e passeggiate poetiche, in cui la natura non è semplice contorno, ma si offre come stimolo alla rivelazione, come escamotage per uscire da un continuum e cercare nuove prospettive entusiastiche insieme. Nel contempo riconoscersi uomo e cane, alterità in grado di leggere reciprocamente gli stati emozionali e percipientisi vicendevolmente in quei frangenti così simbiotici e dialettici, entrambi mammiferi che riposano al bordo della notte. Difatti i cani sono capaci di costruire dialettiche di concertazione, interpretando le fluttuazioni dei nostri stati d’animo, sempre immersi nel tessuto sociale. “Il lessico emozionale rappresenta per il cane il social network per eccellenza, quello che gli consente di vivere all’interno di un fiume continuo di condivisioni”, scrive Marchesini. Toby è sempre alla ricerca di un posto nel mondo, e non gli è stato possibile, date le sue esperienze contrastanti e fraintendenti comprendere quale possa essere il modo più adeguato di interagire con gli altri. Narrando di Toby, Marchesini ci ricorda due asserti principali che sono tra i precetti imprescindibili dell’approccio zooantropologico; adottare o comprare un animale senza interrogarsi sufficientemente se si è adatti a condividere la propria vita con esso, è un grave errore in quanto ciò richiede una presenza concreta fatta di attenzioni, attività reciprocate ed impegno anche a carattere educativo e non semplicemente una convivenza in termini di spazi. Perché gli animali al giorno d’oggi non sono vissuti in modo naturale come presenze, attinenti all’ordine delle cose: l’antropocentrismo proietta su di loro aspettative che non rispettano assolutamente la loro identità e la loro soggettività, Così ci si intenerisce davanti ad un cucciolo di cane, ad esempio, senza pensare che esso crescerà e avrà i suoi bisogni e non sarà più il tenero peluchetto tanto idealizzato. Infatti siamo sempre a rischio di cadere o nella proiezione egocentrica, banale nei suoi antropomorfismi come incognita dei predicati di diversità, oppure erroneamente cogliamo nel cane una tale differenza, una lontananza etica e filogenetica dall’umano così radicata, da vederlo antinomicamente o come oggetto o come fenomeno.

Proseguendo la lettura del libro incontriamo Pimpa, un labrador che, seguendo le inclinazioni tipiche della propria specie, è predisposta all’aiuto, all’amore incondizionato, sempre pronta a rendersi utile e disponibile e a collaborare con l’uomo, nonché a seguirlo in lunghe passeggiate investigative. “La complementarietà percettiva tra uomo e cane è stata sicuramente una delle chiavi del successo del binomio. D’altro canto, se non ci fosse stata la disposizione collaborativa, quale propedeutica a ogni performatività ibrida non se ne sarebbe fatto nulla. Questa è la vera qualità del cane: l’arte di collaborare e partecipare attivamente ad ogni momento della nostra vita”. Marchesini stesso parla di “vitalità estatica” del cane a cui ogni possessore di questo animale dovrebbe abbandonarsi per cogliere un senso di potenza e libertà ineguagliabile, superiore a quello che mai potrebbe offrire un mezzo tecnologico! Ciò comporta veramente vivere l’affinità con il proprio cane e finalmente riuscire ad interpretare i suoi codici comunicativi, iniziando una grande avventura. L’obbedienza stessa è per il cane uno strumento per l’azione concertata e non un fine a sé. Un cane si rivela e cementa la propria amicizia con te se tu saprai proporgli delle attività e non lo consideri un sottoposto!

In questo capitolo Marchesini ci offre alcuni consigli molto interessanti per l’adozione di un cane, ci parla dei canili (da preferirsi il Parco canile), e ci ricorda che chi prende con sé un cane deve sentire di aver compiuto un atto di generosità verso di lui, ed anche comprendere di aver fatto un’ azione per se stesso. Solo così si impegnerà come prevede questa reciproca adesione, in cui la genetica e l’ambiente di provenienza sono fattori inintrascurabili. Ed altri personaggi canini costellano questo stupendo libro che fin dalle prime righe catturerà l’interesse del lettore; c’è Spino, un cane “trattore” con un temperamento vivace e poco incline a riconoscere una leadership, non abituato alle dinamiche di gruppo e portatore di un deficit di socializzazione, incapace di gestire le proprie frustrazioni. Attraverso il ricordo di questo cane, l’autore ci parla di “atteggiamenti fraintesi” e di quanto un canile possa essere determinante per modellare il temperamento di un cane: “Spino era l’emblema delle contraddizioni del canile, l’espressione di una cultura che voleva superare l’antropocentrismo attraverso l’antropomorfizzazione. La socialità del cane è al contrario molto differente da quella umana e soprattutto non ha nulla da spartire con le coordinate sovrastrutturali che si sono sviluppate nella cultura occidentale. Per il cane il gruppo non è mai una collettività amorfa, basata sulla condivisione di uno spazio e regolata in modo orizzontale da leggi, ma una piccola squadra operativa con modi ben definiti che costruisce le proprie dinamiche nell’azione di gruppo e non nell’inattività”. Inoltre Marchesini sottolinea quanto sia importante creare fiducia nel cane, che non si ottiene con carezze e bocconcini prelibati ma con il diventare per lui una guida, coniugando fermezza e disponibilità, ed essendo capaci così di gestire ogni possibile problema. Possiamo così comprendere quanto Marchesini, attraverso l’incontro con questi cani, ci insegni a rapportarci a queste prossimità distanti, ad approcciarli. Scorrendo più avanti il libro, facciamo conoscenza con Bianca, una cucciola di due mesi, chiamata così in onore della nonna dell’autore, ma anche perché si dimostrerà essere un cane dolcissimo, candido e disponibile a proteggere il gruppo. Non solo; essa, per uno strano scherzo del destino, respirava felinità, preferiva il mondo dei gatti, tanto da affezionarsi fino alla morte di entrambe, ad una micia di nome Mimì, selvatica e strana. Bianca così immersa nella sua opera di nume tutelare da differenziarsi profondamente dalla chiassosa Isotta e dall’egocentrico Toby. Con lei scopriamo il significato dell’amicizia negli animali, di come sapersi appartenere l’un l’altro, e come sia importante anche per loro nutrirsi di differenze solo apparenti, crescendo insieme ed accettando i cambiamenti. Ed ecco la simpatica e vivacissima Belle che non corre, sembra rimbalzare sul terreno, con velocità, e con uno scatto impressionanti. Energia pura, una jack russell a tutto tondo, attenzione fatta cane, una piccola peste irrefrenabile desiderosa di essere compresa. Marchesini, ripercorrendo i momenti trascorsi con lei, ci insegna quante connotazioni negative e quanti preconcetti sono stati tramandati sulla natura dei cani, come quello ad esempio che per far smettere ad un cane di orinare in casa, bisogna sfregargli il musetto nella pipì, o che i Doberman tendono ad impazzire a causa della piccolezza della loro scatola cranica, e molti altri come quelli predicati da taluni esponenti religiosi che decretano l’amore per i cani una sottrazione all’amore per il prossimo (come se l’amore in sé fosse una sorta di bene materiale, un bancomat). Persone in contraddizione con se stesse che non conoscono, proprio loro, il valore dell’altruismo.. E tornando a Bianca, l’autore si sofferma a descrivere l’importanza di costruire una relazione equilibrata, che consenta al cane la possibilità di esprimersi totalmente nella propria natura, dandogli indirizzi educativi rispettando le sue caratteristiche etologiche. Secondo Marchesini il nostro mondo ci ha come rinchiusi in infiniti specchi per cui tendiamo ad essere proiettivi come il mitico Narciso che omologava a se tutto ciò che lo circondava e noi adottiamo questo comportamento verso gli animali; in tal modo l’antropomorfismo è predominante nel rapporto con il cane e così consentiamo alla nostra proiezione di prevalere sulla conoscenza. È importante adottare una corretta educazione cinofila che si snoda attraverso il gioco la cui funzione è quella di entrare in relazione con il mondo, e poter esercitare le proprie inclinazioni, esprimendo così le proprie coordinate emozionali, realizzando desideri interiori come esplorare, rincorrere, collaborare, e nel contempo acquisendo limiti e regole. Per ultimo ecco arrivare il cane Filippo un randagio, tipo Maremmano; ed in questo capitolo ci dimostra come il nostro rapporto con il cane non sia una entità stabile ma si modifichi continuamente con il variare della società, della cultura e della tecnologia. I cani gli sono dunque d’aiuto in questo percorso, seguendo il desiderio di lasciarsi andare completamente, e rimembrando rimorsi e nostalgie, in una sorta di confessione fluida non edulcorata, che maggiormente può garantire la veridicità e l’importanza degli eventi che divengono così un bagaglio educativo e nozionistico non indifferente. Marchesini stesso ammette nella prefazione che il proposito di parlare dei cani, a modo suo, non significhi propriamente stilare un dotto, autoreferenziale ed autocompiacente trattato su di loro, bensì affrontare alcuni argomenti di carattere generale, per ripercorrere situazioni irripetibili ed importanti per le domande e le riflessioni che hanno generato, nonché per raccontare in modo diretto il dialogo che è possibile instaurare con loro. In questa avventura l’accompagnano otto cani, a cui è dedicato ogni capitolo. Maya è un cane che accompagna l’autore in un periodo della sua vita contraddittorio ed incerto; tuttavia lei è li, con la sua propensione diadica pronta a dedicarsi al suo consueto step del tira-molla, un rito di alleanza basato sul gioco e sulla fiducia che l’autore le trasmette. “Finché si sta insieme le stelle restano fisse nel cielo, ci si può addormentare sognando di continuare la lotta” (così pensa Maya in una immagine poetica ma che ben esplicita il suo attaccamento al suo compagno umano, allontanando da sé l’ombra della solitudine). Poi c’è Toby che consente a Marchesini di ritagliare un altro pezzo della sua vita, e parlare della educazione sentimentale di questo cane contraddittorio, incurante della disciplina ma dotato di una capacità quasi clownesca di ricorrere ad una sorta di captatio benevolentia per farsi perdonare le intemperanze e le marachelle. Marchesini in questo capitolo su Toby ci ricorda come il cane è prima di tutto un individuo, vale dire un’entità singolare cresciuta passando attraverso una particolare sequenza di esperienze; veniamo così a conoscere quanto sia importante per l’identità individuale e per l’educazione, l’accudimento materno e quanto questa deprivazione possa causare comportamenti irritabili ed impulsivi nell’animale. Il cane esperisce il mondo attraverso l’olfatto e la bocca che sono i suoi strumenti per interagire con la realtà che lo circonda. Attraverso di essi il cane inizia il suo percorso formativo e di identità personale e si affaccia alla vita. Ma altri cani attraversano gli anni dell’autore, ed incontriamo Isotta, da lui definita “un fulmine compresso in un corpo di cane”, e scopriamo come ogni relazione sia unica ed irripetibile, ricca di una sua oggettività biografica,capace di dipanare nel tempo una propria storia, che diviene diadica con il compagno uomo, attraverso un percorso che l’autore etichetta come una sorta di danza che richiede coerenza ed una sorta di “danza”. Isotta dotata di sue qualità specifiche è stata in grado di intessere con l’autore una relazione oscillante sulla corda delle due esistenze, umana e canina, coinvolte in un farsi astorico, imprevedibilmente modulantisi al ritmo dei due partecipanti. Così scrive Marchesini: “Io ed Isotta eravamo nella stessa stazione, ma stavamo aspettando treni differenti, treni che partivano ad orari diversi, come diverse erano le destinazioni e la tipologia stessa del treno. Il mio era un regionale, disposto a fermarsi in tutte le stazioni, mentre Isotta era uno ad alta velocità, con pochissime fermate. Ed eravamo diventati così proprio nello stare insieme, nel confronto tra le nostre due ritmiche: Isotta aveva incentivato il mio desiderio riflessivo ed io avevo acceso la sua frenesia, il tutto attraverso una storia che avrebbe peraltro potuto prendere una piega differente”. Molto simpatico il termine adottato dall’autore per definire la moda o l’uso di portare ovunque il proprio cane, in spiaggia, sul bus, in ristorante, talvolta in modo eccessivo; secondo lui, in tal caso, siamo tutti un po’ punkabbestia. Infatti per quanto il cane ami stare con noi, non tutte le situazioni sono adatte a lui. Occorre sempre equilibrio e buon senso. Con Filippo impariamo il significato del randagismo per un cane, e apprendiamo tanti nuovi mondi di esperire la vita assieme ad esso. In conclusione, questo libro non è solo una raccolta di memorie avvincenti su cosa realmente ci trasmettano i cani che accompagnano i percorsi salienti della nostra vita, compartecipi del variegato quadro della nostra esistenza, ma è soprattutto un prezioso vademecum propedeutico che ci consentirà di accostarci al nostro pet d’elezione con saggezza e coscienza, per costruire con lui un domani appagante, ricco di amore e speranza reciproci.

You may also like...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *