Il buio, uno spazio in cui vedere meglio il mondo e quindi noi stessi. di Yvan Rettore

di Yvan Rettore. Ciò che conta nella vita è raggiungere la serenità perché è soltanto in quello stato che si riesce a scoprire quei momenti di felicità che rendono bella e piacevole l’esistenza indicandoci che comunque vada vale sempre la pena di essere vissuta fino in fondo.
Nel bene e nel male.
Per riuscirci basta essere umili e vivere nella semplicità e con uno spirito di accoglienza e non di chiusura nei confronti di quanto ci offre ogni giorno del nostro passaggio su questa Terra.
Cercare di apprezzarne ogni momento, senza continuare ad affannarci nella ricerca e costruzione di un domani migliore, perché spesso e volentieri i momenti di felicità sono a disposizione ogni giorno e basta saperli cogliere e accettarli.
Invece (quasi) tutti a correre come matti, direi perfino come zombies senza avere la consapevolezza di quanto si perde di bello in questa vita e finendo col diventare vecchi avendola consumata senza però mai averla vissuta.
La maggior parte degli individui si limitano a vedere soltanto le cose che fanno loro più comodo, spronati da un opportunismo distruttivo e quindi privi di qualsiasi abnegazione e apertura reale, genuina e disinteressata verso il prossimo.
La condivisione, la solidarietà (quella vera), il saper vivere insieme (che implica dover fare anche delle rinunce ma che alla fine della fiera rimane l’unica vita accettabile per ogni essere umano dato che l’uomo è un animale sociale e non un robot da comandare a bacchetta per produrre e consumare facendo astrazione della sua componente fondamentale: il pensiero) vengono di conseguenza del tutto ignorati per lasciar spazio a esistenze vuote ed effimere incentrate esclusivamente sui bisogni materiali e individuali.
Questa descrizione rappresenta la società occidentale, ma per fortuna non tutto il mondo.
Perché anche se i media ovviamente lo celano, la maggior parte degli esseri umani non vive come noi e non accetta queste squallide regole del gioco.
Bisogna quindi non soltanto limitarsi a vedere, ma imparare a guardare e ad osservare questo mondo, la gente e le realtà quotidiane che ci circondano e con cui abbiamo a che fare quotidianamente.
Perché è nei dettagli e nelle sfumature che nascono i migliori dialoghi e i rapporti più duraturi.
A cominciare da sé stessi.
Finché non stabiliremo un dialogo profondo e completo col proprio essere e non ci impegneremo a guardarci dentro davvero fino in fondo, allora non riusciremo mai a stare bene e a vivere veramente in serenità (elementi essenziali per poter affrontare la vita col sorriso anziché con pesi e paure spesso indotte da questo squallido sistema in cui siamo arenati ormai da troppo tempo).
Le paure concrete della vita in realtà sono veramente poche e la maggior parte dei problemi viene creata dall’ottusità e dalla scarsa volontà di superarli dimostrate da coloro che a volte incontriamo sulla nostra strada, ma spesso e volentieri anche da noi stessi.
Detto questo, coprirsi gli occhi con una benda (come si propone di fare nei percorsi sensoriali) serve per riuscire a vivere e scoprire momenti unici ed esclusivi col proprio essere ogni giorno e per vivere un’intimità che spesso non si riesce più a ritrovare nella vita frenetica odierna.
Ma serve anche per dialogare, conoscersi, amarsi e rispettarsi e accedere agli orizzonti infiniti della nostra mente e del nostro essere al di là dei nostri sensi e delle percezioni basilari che siamo abituati ad usare (spesso male o in modo parziale) nella vita quotidiana.
Quindi la benda sugli occhi non per non vedere il mondo che ci circonda, ma per imparare a guardarlo e osservarlo fino in fondo e farlo completamente proprio in un processo di crescita in cui ci si sentirà davvero parte di esso in un tutto immenso e infinito che non è altro che l’intero universo da cui proveniamo e in cui resteremo per sempre.

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