Homo hominis lupus.

di Redazione. Quando tutto questo sarà finito, quando torneremo alla normalità, se per ‘normalità’ s’intende città affogate nello smog e deturpate dal traffico, mezzi pubblici scassati che non passano mai, cumuli d’immondizia sparsi a ridosso di cassonetti stracolmi, strade e marciapiedi dissestati, famiglie sfasciate dai ritmi frenetici di una vita che non è più vita, bè allora potremmo tirare le somme di questa immane tragedia, discernendo tra meriti, demeriti, responsabilità ed errori, e forse – diciamo ‘forse’ almeno per coloro che l’hanno scampata salvando la propria pelle e quella dei propri cari – avremmo parecchie cose da rimpiangere, ripensando a questi giorni di quarantena.

Certo la libertà non ha prezzo, ma quando il prezzo sale e diviene troppo alto da pagare, bè allora servirebbe metterci mano.

La sensazione, però è quella che ad emergenza superata, tutto tornerà come o peggio di prima, dacchè non sappiamo bene il come e il quando dovremmo restituire i debiti fatti per aiutare imprese, famiglie, lavoratori, medici e infermieri, ma possiamo facilmente intuire il chi sarà chiamato a mettere mano al portafoglio: i “soliti fessi”, pensionati, lavoratori dipendenti e proprietari di casa!

Dicono i grandi sapientoni che questa tragica esperienza ci migliorerà la vita, che ci renderà più umani: ecco più umani, ovvero più accaniti a prevalere l’uno sull’altro per avere il meglio subito, adesso, anche perché domani potrebbe capitarci un altro virus e quindi meglio ‘arraffare’ oggi tutto quanto si può ‘arraffare’, che rimandare ad un domani sempre più incerto!

Ne volete la prova? Guardate la fila fuori ai supermercati, il movimento di gente e di macchine – quando, invece, dovremmo restarcene tutti a casa per limitare il contagio – e poi domandatevi se il Coronavirus ci ha cambiati oppure no?

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2 Responses

  1. Giacomo-TO ha detto:

    La globalizzazione ha massificato i popoli, gli usi e i costumi della gente: il grande mercato ci vuole tutti uguali per venderci i suoi prodotti!

  2. Alberto A. ha detto:

    Molti dicono che da questa esperienza usciremo migliori. Io ci credo di meno. In passato una volta finita l’emergenza si è sempre tornati al comportamento ordinario. Se così fosse anche stavolta, si passerà dalla solidarietà obbligata alla conflittualità scatenata.
    Tutti siamo colpiti dalla confusione delle informazioni, da quelle vere alle fake news. I mezzi di comunicazione devono fare i conti con un mercato che elabora le notizie in un certo modo perché ha bisogno di audience e con le classi dirigenti della politica e dell’economia che puntano ad affermare interessi di parte. Di fronte a un futuro incerto questi due settori si stanno preparando a come riprendere quando la forza del virus calerà.
    Il dibattito sulla contrapposizione tra l’uomo e la rete, tra il linguaggio analogico e quello digitale è superato. L’ innovazione digitale è ormai un dato acquisito. In questo senso le catastrofi hanno sempre accelerato il cambiamento.
    C’ è un pubblico allarmato che cerca una informazione continua e un pubblico interessato alle fiction per compensare la tensione.
    Vedrei bene un organismo che in questa fase avesse una autorità sulla programmazione di tutte le reti per distribuire bene le notizie, evitare l’ossessione, impegnarle ad appuntamenti informativi e a calibrare i programmi che si occupano di questo tema anche pensando al dopo. Oppure l’autoregolamentazione di ogni rete.
    Molti parlano di uno scenario di guerra. Dipende dalla guerra a cui pensiamo. In questa fase non siamo a quella vissuta dai nostri padri e nonni, ma nella condizione di chi è esposto ai cecchini. Si muore individualmente, senza saperlo. La difficoltà è immaginare quale sarà il dopo. Finirà e ci sarà la pace? La situazione si aggraverà, o avremo una pace ricca di nuove sofferenze e problemi? Non c’è nulla che ci possa tranquillizzare.
    Le abitudini sono la dimensione che si trasforma più lentamente. Ora l’attenzione è puntata sulla ricerca della soluzione, la paura riguarda il corpo e il rischio di morire. Poi il problema sarà la sopravvivenza in un ambiente sociale ingiusto e crudele. Ci sarà un gran caos, una crisi economica tremenda, una conflittualità moltiplicata tra lobbies, ceti e fazioni.
    La maggioranza parlamentare, pur tra contraddizioni, ritardi e ripensamenti, penso abbia complessivamente reagito bene. Se al vertice ci fossero state le destre avrebbero cercato di strumentalizzare, contrariamente a quanto avviene nelle regioni in cui invece la destra ha dimostrato capacità.
    Questa esperienza, ha messo in luce un elemento fondamentale: ci sarà maggiore attenzione alle persone competenti e alla loro formazione. La professione ha significato solo se fusa con un grande senso della responsabilità civile.
    Negli ultimi anni, invece, nelle università si è affermato un sistema concentrato sul tecnicismo e sulla formazione di professionisti senza vocazione. Certo è che la globalizzazione del virus ha riproposto una visione fortemente centralizzata su come affrontarlo. Gli stati hanno ribadito i confini. La paura fa alzare i muri, è successo con i neri, con gli immigrati… Ci possono essere barriere fisiche ma i mercati reagiscono su scala mondiale. Il corpo viene inchiodato nel suo perimetro, mentre l’economia e la finanza marciano in modo globalizzato.

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