Giochi di Gloria. Storia, misteri e curiosità da Atene 1896 a Rio 2016, di Gianmario Bonzi.

di Alberto Sigona. Ho appena terminato di leggere il libro del Dottor Gianmario Bonzi“Giochi di Gloria” (Libro Co. Italia) – concernente la storia delle Olimpiadi, e devo dire che fra tutti i libri che ho letto nel corso della mia vita (oltre 200), questo è stato probabilmente il più interessante. 

Sarà perchè tratta di uno dei miei argomenti preferiti in assoluto, le Olimpiadi appunto, affrontando ad ampio spettro la storia dei Giochi, in maniera esaustiva, dettagliata, globale (non mancano digressioni storiche extrasportive), enciclopedica (vi sono presenti mini biografie dei vari campioni, storie, retroscena, statistiche a go-go….), ma anche scorrevole, fluida, alla portata di tutti e non solo degli esperti, badando bene a non appesantire quello che l’autore ha trasformato in una sorta di godibile romanzo sportivo.

 

Dottor Gianmario Bonzi, ma quanto tempo ha impiegato per realizzare quest’opera letteraria?

Intanto grazie per i complimenti che leggo tra le righe. Diciamo che questo tipo di volume l’avevo in testa fin da bambino, era un sogno, così come quello di commentare i grandi eventi sportivi, realizzato poi grazie a Eurosport/Discovery+. Quantificando, possiamo dire più o meno 4 anni, ma in realtà “Giochi di Gloria” è frutto di una ricerca, di un lavoro e di un archivio personale che ho accumulato fin dalle elementari (con grande rimprovero di mia madre, visto che nella stanza divisa con altri 3 fratelli avevo uno scaffale tutto per me fatto appunto di numeri vecchi, ritagli ecc. ecc., oggi fa sorridere), fatto di giornali, riviste, inserti, speciali, pubblicazioni ecc., da allora conservati meticolosamente, letti e riletti anno dopo anno. L’idea era proprio quella di mettere insieme la storia sportiva dei Giochi con quella geo-politica, economica, geografica, unendo di fatto le mie due grandi passioni, sport&storia, per l’appunto.

Il libro si apre con un’introduzione sui Giochi dell’Antica Grecia. All’epoca le Olimpiadi avevano già quel “retrogusto” politico destinato a recitare una parte preponderante nel Novecento (tipo Berlino 1936, Mosca 1980, Pechino 2008), offuscando il famigerato spirito olimpico che a parole avrebbe dovuto farla da padrone?

Le grandi dinastie dell’antichità, dalla greca alla romana, erano avanti anni luce rispetto ai loro tempi e non a caso hanno infarcito di politica i “loro” Giochi Olimpici, ma diciamo che all’epoca non era possibile parlare di spirito olimpico poichè in realtà i Giochi antichi erano anche una manifestazione razzista, riservata solo a certe elite (escluse le donne, gli schiavi ecc. Ecc.), e più che altro erano una passerella per re o imperatori. Però avevano il potere di fermare le guerre ed erano un passatempo irrinunciabile per molti.

Inizialmente i primi Giochi dell’era moderna non ebbero un’ampia risonanza mediatica. Come mai?

Perché il suo ideatore de Coubertin si preoccupò principalmente (e andò già bene) di creare una struttura mondiale che fosse al di sopra delle parti, cioè il CIO, ma non della diffusione a livello mediatico della sua nuova creatura. Per fortuna gli americani, già organizzati molto bene, furono presenti fin da Atene 1896, dando lustro a una manifestazione che altrimenti avrebbe potuto anche “morire” dopo St. Louis 1904. Ad Atene 1896 non furono presenti gli atleti migliori del mondo semplicemente perché… non sapevano dell’esistenza di tale kermesse. Molti di loro, almeno fino al 1904, nemmeno si resero conto di aver vinto un titolo olimpico. Tutto cambia dopo l’edizione intermedia del 1906, che oggi a tutti gli effetti dovrebbe essere ammessa nell’elenco ufficiale dei Giochi. Perché lo è a tutti gli effetti ed è stata fondamentale per il prosieguo delle Olimpiadi.

Quando iniziarono ad assumere quella notorietà e quel gigantismo che tuttora le distinguono da ogni altro evento mondiale?

Direi da Stoccolma 1912, un’edizione veramente ben riuscita, come capita quasi sempre nei Paesi del nord. Va detto però che prima delle due Guerre Mondiali i Giochi avevano raggiunto risultati enormi dal punto di visto organizzativo/mediatico e sportivo (vedi anche Berlino 1936), per dover poi ricominciare da zero tra Anversa 1920 e Londra 1948, edizioni “spartane”. Il gigantismo è legato anche al fatto che la struttura non è mai cambiata (ogni Olimpiade è prevista ogni 4 anni) e che si iscrivono più Nazioni di quante ne siano affiliate all’ONU, per dirne una. Ciò detto, bisognerebbe avere il coraggio di ammettere che le vere Olimpiadi cominciano, almeno per me, da Atlanta 1996, in un mondo più libero, con quasi tutti i Paesi indipendenti e senza il cosiddetto dilettantismo di Stato che ha di fatto condizionato l’esito dei Giochi per oltre 40 anni.

L’Italia è stata sin dalle prime apparizioni fra le protagoniste a cinque cerchi. Abbiamo lo sport nel dna?

E’ sorprendente quel che l’Italia riuscì a fare con pochi atleti indipendenti tra il 1900 e il 1908, per poi diventare potenza mondiale sotto il Fascismo, che si servì dello sport anche per questioni di propaganda. Sì, abbiamo lo sport nel DNA, ma riusciamo a primeggiare solo quando i nostri talenti sono sorretti da un’organizzazione di alto profilo, anche a livello di politica sportiva.

Fra i pochi meriti di Benito Mussolini vi fu quello di elevare lo sport azzurro su vertici mai più lambiti. Come fece? Ed oggi, in Democrazia, sarebbe possibile riportare l’Italia così in alto?

Oggi l’Italia è già molto in alto nello sport, quanto fatto a Tokyo 2020 ha dell’incredibile, pensando soprattutto all’apporto meno numeroso dei soliti sport come tiro a volo e scherma. Mussolini, prima di Hitler, capì l’importanza dello sport a livello di propaganda politica e ne organizzò le fondamenta fin dal basso (Littoriali, Balilla, Piccole italiane…). Successivamente il CONI si resse sugli introiti del Totocalcio (fino al 1997), oggi anche e soprattutto grazie a sponsor privati. Ma il nostro fiore all’occhiello restano le piccole società, portate avanti soprattutto da allenatori volontari. A cui va il nostro eterno grazie.

Nelle prima metà del Novecento fra le super potenze olimpiche, oltre agli USA, Gran Bretagna (che poi fra gli Anni 50 e 90 avrebbe vissuto un lungo periodo di crisi, salvo riprendersi alla grande in questo millennio…), Germania e Francia (ed in parte la stessa Italia) vi erano anche Svezia e Finlandia (Nazioni che hanno partorito leggende del calibro di Gert Fredriksson e Paavo Nurmi). Come mai oggi i Paesi nordici non riescono più a banchettare alla tavola del G8 dello sport?

In realtà ci riescono, vedi la Norvegia, che ha vinto il medagliere ai Giochi invernali 2018 e che a Tokyo 2020 ha mostrato star incredibili tra atletica e beach volley, per non citare che due sport. In generale, non credo ci sia un motivo particolare, semplicemente oggi il talento può spuntare in qualsiasi sperduta e piccola nazione del mondo, anche perché finalmente libera e magari aiutata dal CIO nello sviluppo di alcune settori sportivi, tramite investimenti, fondi ecc. ecc. I norvegesi, che fino agli anni ’90 non erano certo una potenza dello sci alpino, e oggi invece lo sono, credo abbiano un’organizzazione e uno spirito di gruppo da studiare, oltre a una predisposizione naturale per lo sport. In altre parole, sono atleti con un… fisico bestiale.

Fra le super potenze vi è stata sicuramente l’URSS. Come mai i sovietici erano così forti? E perchè inizialmente Stalin preferì tenersi fuori dai Giochi?

Organizzazione, investimenti statali, tanti club, molti soldi pubblici, dilettantismo di Stato (quindi, atleti militari che non fanno i militari, ma si allenano a tempo pieno, mentre, per esempio, gli atleti italiani fino a tutti gli anni ’80 dovevano studiare ISEF e poi lavorare, riassumendo). Stalin aspettò solo il momento di avere una squadra pronta a primeggiare, inizialmente più a livello di quantità (tutti gli sport) che di qualità (atletica e nuoto, dove poi sarebbero arrivati anche a dominare). A Helsinki 1952 quel momento, semplicemente, arrivò. Ma era stato preparato a lungo dopo il 1948.

E poi c’era la Germania EST, che si avvaleva dell’odioso doping di Stato (sulla cui piaga lei dedica ampio spazio), che all’epoca imperava oltre cortina (assieme all’ipocrisia ed alla mancanza di scrupoli morali…). Perchè per anni i loro atleti sono riusciti a farla franca?

Perché solo con la morte di Tommy Simpson (1967, Tour de France) si cominciò a prendere sul serio la piaga del doping e solo dopo il caso Ben Johnson a Seul ’88 il lavoro dell’antidoping divenne veramente professionale. Ma nel 1988 ormai la Germania Est stava per terminare la sua saga nel mondo dello sport. Certo, come per l’URSS, aveva anche una grande organizzazione statale, con molti centri all’avanguardia nella pratica sportiva. Purtroppo per loro, però, anche impregnati di quel doping che ne ha macchiato indelebilmente la storia. In maniera vergognosa visto che bambini e bambine sono diventati “cavie umane”.

A proposito di grandi exploit, uno per me è inspiegabile: ma come fece la Spagna a vincere 13 Ori a Barcellona ’92, se prima d’allora, in tutti i Giochi, ne aveva conseguiti soltanto 5? E’ un mistero?

Anche i giapponesi credo che a Parigi 2024 rientreranno un po’ nei ranghi dopo il grande raccolto di Tokyo 2020. E’ abbastanza normale. Con il tempo a disposizione per preparare i Giochi, si cerca di farsi trovare pronti per le Olimpiadi di casa in più sport possibili. Aggiungiamoci fortuna, aiuto del pubblico, qualche aiuto arbitrale di troppo e la capacità di rendere al meglio davanti ai propri tifosi, situazione questa che spesso moltiplica le energie.

A proposito di misteri, quale ritiene sia stato il giallo per eccellenza dei Giochi?

Proprio quello di Ben Johnson, nel 1988. Non perché non si dopasse, è acclarato, ma perché non avrebbe assunto quella sostanza trovata poi nel suo corpo (bensì altre), probabilmente fatta ingerire di nascosto in maniera misteriosa. E in più perché, prima o dopo, molti altri protagonisti di quella finale sui 100m sono stai trovati positivi e squalificati (oppure positivi ai Trials, come Carl Lewis, ma coperti). Come dire, Ben da punire e cacciare, senza ombra di dubbio, ma chi era veramente pulito a Seul quel giorno? E si vocifera pure di una copertura della “povera” Griffith, trovata positiva, ma appunto coperta, per non allargare lo scandalo dell’atletica già arrivato a livelli altissimi. La verità non la sapremo mai.

Quali sono state a suo parere le Olimpiadi più belle?

Barcellona 1992 e Sydney 2000. A livello invernale, Lillehammer 1994.

Se dovesse scegliere l’atleta simbolo dei Giochi, chi sceglierebbe? E la gara preferita?

Michale Phelps. La gara per eccellenza per me resta la finale dei 200m stile libero maschile, nel nuoto, ai Giochi di Atene 2004, con in acqua Van den Hoogenband, Phelps e Thorpe. E pure il nostro Emiliano Brembilla.

E fra gli italiani chi collocherebbe sul podio all time?

Fino a Tokyo 2020 avrei detto Pietro Mennea e Alberto Tomba. Per quanto concerne la gara, certo, la finale della 4×100 m piani in atletica, in Giappone, credo possa assurgere a gara simbolo dei Giochi, per l’Italia, Ma è soggettivo.

La vittoria italiana più bella a cui ha assistito in diretta?

Elia Viviani nell’omnium a Rio 2016, avendo visto tutte le prove nel velodromo. Emozionante come poche altre.

Tornando al suo libro, a pag. 224 lei concede ampio spazio alla prima eroina azzurra Ondina Valla. E’ stato molto difficile per il gentil sesso italico emergere in chiave sportiva?

Certamente è stato complicato. Basti pensare che la prima atleta italiana a entrare in un gruppo sportivo militare è stata Gerda Weissensteiner, nel 1991, seguita a ruota da Deborah Compagnoni e Stefania Belmondo.

Nel libro si possono “gustare” varie storie legate ai vari personaggi olimpici. Mi ha colpito ad esempio quella, forse poco nota, del velista Lawrence Lemieux (pag 536), che a Seul ’88 si rese protagonista di un episodio che incarnò l’essenza dello spirito olimpico? Ma oggi lo spirito olimpico esiste ancora?

Sì esiste ancora, nonostante il gigantismo, la corruzione che torna di volta in volta nelle candidature olimpiche, l’importanza degli sponsor ecc. ecc. Basti pensare alla storia di Abbey D’Agostino e Nikki Hamblin nei 5.000m piani femminili a Rio 2016. Per gli atleti è ancora più importante partecipare, che vincere. Più di quanto non lo sia per i media.

Un’altra storia interessante che lei racconta è quella del pellerossa Jim Thorpe (pag 114), prima defraudato, poi riabilitato post mortem. La sua storia preferita qual è?

In assoluto, quella di Nadia Comaneci. La sua è una parabola incredibile, un po’ come quella di Greg Louganis, ma in tempi e modi diversi. Crescere in un Paese dell’est all’epoca di Nadia non deve essere stato facile.

Come le immagina le Olimpiadi del futuro?

Con tanti sport che nemmeno immaginiamo oggi possano entrarvi. Ma sempre emozionanti. Finché ci saranno i campioni, non moriranno mai.

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