Femminicidio: si può fare ancora molto. di Yvan Rettore

di Yvan Rettore. Anche in provincia di Bergamo, pochi giorni fa, è stata uccisa una donna di 36 anni per mano del marito, un uomo di 47 anni che si è nel frattempo dato alla macchia.
Non siamo purtroppo gli unici in Europa a vivere quello che ormai si può considerare un vero e proprio massacro di esseri umani. Ci sono paesi in cui le cose vanno anche peggio che da noi, ma ciò non può assolutamente essere una consolazione e ancor meno un’attenuante di fronte ad un fenomeno che ormai si sta avverando incontrollabile.
E’ chiaro che qualcosa non sta funzionando sia nella repressione che nella prevenzione di tali tragedie che distruggono la vita di molte persone a cominciare ovviamente dalle vittime che pagano il prezzo più alto. Non intendo criticare l’operato delle forze dell’ordine che a mio parere rimane limitato per via di una legislazione che risulta tutto sommato ancora troppo tenera nei confronti di coloro che usano violenza nei confronti delle donne.
Non intendo riferirmi alle sole pene detentive (la cui determinazione è lasciata in modo spesso troppo soggettivo al libero arbitrio dei giudici) quanto alle misure di prevenzione che appaiono davvero inefficaci rispetto alle azioni violente che dovrebbero impedire. Un divieto di avvicinamento, una raccomandazione o un momentaneo arresto preventivo (da svolgersi spesso ai domiciliari) si sono dimostrati da tempo strumenti inutili in questo senso.
Ciò che si fatica a capire e a considerare nel nostro ordinamento è che le azioni che precedono l’uccisione della donna sono già di per sé da inquadrarsi come reati gravi e da perseguire con maggiore severità e efficacia.

Lo stalking telefonico, i pedinamenti, le minacce verbali vengono spesso sottovalutati rispetto alle aggressioni fisiche ovviamente ben più gravi. In realtà bisognerebbe considerare tutte queste azioni nel loro insieme e i loro autori andrebbero fermati e impediti di nuocere ben prima che si giunga al compimento dei tragici epiloghi a cui ormai assistiamo ogni giorno.
Quindi sicuramente il legislatore dovrebbe riformare in modo drastico non soltanto l’entità delle pene, ma anche definire chiaramente le situazioni in cui le forze dell’ordine potrebbero essere autorizzate a bloccare il potenziale autore di un femminicidio prima che questo si compia.
D’altro canto ai giudici andrebbe ridotta la facoltà di poter decidere con così tanta soggettività pene e misure coercitive che finora si sono dimostrate troppo spesso tenere ed inefficaci nei confronti di tali reati e lesive della dignità delle vittime e dei loro famigliari.
Tutto questo per evitare il protrarsi di situazioni in cui manifestamente le vittime si sentono abbandonate dalle istituzioni che invece dovrebbero difenderle e che ogni cittadino mantiene anche per questo scopo.

Altrimenti a cosa servono?!
Ma gli interventi a livello istituzionale da soli non bastano.
Lo Stato dovrebbe investire nella formazione ovvero inserire momenti educativi a livello scolastico in cui far capire chiaramente che la donna non può mai essere ridotta ad un oggetto di piacere o ad una proprietà alla quale non si può rinunciare.
Troppi uomini nel nostro Paese, in nome di un maschilismo purtroppo ancora diffuso, ritengono che la donna è un oggetto in loro possesso di cui si sentono autorizzati a fare ciò che vogliono perché tanto sia la società in quanto tale, sia le istituzioni non stanno dimostrando una volontà sufficiente per impedirglielo.
Parlo di società perché una cosa che mi colpisce sempre è vedere quanta gente partecipa ai funerali delle donne uccise. Gente che però risultava in gran parte assente quando si trattava di difenderle concretamente dalle violenze e angherie degli uomini che controllavano e distruggevano le loro esistenze. Questa ipocrisia al momento della morte e questa indifferenza mentre erano in vita sono davvero inammissibili in una società civile.
Quindi al di là dei numeri da chiamare in caso di pericolo e delle associazioni da tempo coinvolte nella protezione delle donne vittime di abusi, sarebbe utile che le persone che vivono nei quartieri in cui avvengono simili atti di violenza si unissero per costruire un argine contro simili degenerazioni e creare una solidarietà effettiva contro i farabutti che si rendono autori di azioni violente contro le donne nei rispettivi focolai domestici.
Sarebbe sicuramente lo strumento più efficace per evitare che possano ripetersi altri femminicidi e comunque un ottimo punto di partenza per cominciare a vivere in una società in cui il termine “umanità” possa finalmente acquisire un significato autentico e non soltanto simbolico.

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