‘Era il tempo della pandemia’, l’ultimo libro di Nicola Apollonio. Quando, alla memoria, la ‘carta stampata’ è più utile del ‘web’.

di Vittorio Feltri. Ho già sottolineato di recente come uno dei pericoli maggiori per l’umanità sia l’incapacità della nostra specie di ricordare i fatti e mettere a frutto i ricordi, in modo da evitare di ripetere sempre gli stessi errori: un pregio della carta stampata, che il web non possiede, è che un libro è “fisicamente presente”, per cui quando si trova su un tavolo è come se lui cercasse noi, mentre online possiamo certamente ottenere in tempi brevissimi una travolgente messe di informazioni disponibili (anche troppe e non tutte vere), ma ogni volta siamo noi a dover cercare qualcosa.

Il più delle volte la quantità di risultati è tale da risultare difficile da maneggiare e quando spegniamo i computer, tutto ci sparisce da davanti.

Per questo motivo la carta per certi versi è più utile alla memoria di quanto lo sia il digitale: una volta scelto un libro (che per fortuna ha un numero ben delimitato di pagine), quello resta lì.

Nicola Apollonio è un giornalista di lungo corso, collabora da sempre con Libero e da una vita ha le mani nella cronaca e nella vita degli italiani, ne ha ricavato 14 libri, e per i motivi che ho testé elencato ho apprezzato particolarmente il nuovo volume pubblicato un paio di mesi fa, Era il tempo della pandemia (Edizioni EspressoSud, 156 pagine, 10 euro).

Abbandonando il suo abituale terreno di caccia, il Salento, Apollonio, che deve avere sangue greco nelle vene, ha fatto una cosa che era abitudine nell’antichità e che oggi invece è caduta in colpevole disuso. Una cronaca, in ordine cronologico e tematico, dei fatti, dei problemi, delle discussioni e delle reazioni nei mesi più duri della pandemia di coronavirus.

Ha usato come fonti tutto quello che è stato pubblicato giorno dopo giorno, senza mai prendere posizioni ideologiche quando il dibattito si è fatto confuso e tantomeno quando la lotta politica ha preso il sopravvento su quella sanitaria.

Chi si ricorda di Erodoto, Tucidide, Polibio? Erano storiografi. Sono giunti fino a noi perché non si sono persi in chiacchiere vane ma, pure con una varietà di stili e intenti, hanno permesso che arrivasse fino a oggi una grande parte della storia dell’Occidente e anche di più, delle sue origini e delle radici, che ci hanno portato a essere quel che siamo oggi, consentendoci di impazzire meno a ricostruirla e a comprenderla.

Per questo ho dato del “greco” ad Apollonio.

Se sfogliate i giornali e ascoltate i notiziari di questi giorni, avrete chiaro che la lotta politica, l’opinionismo, la tracotanza degli stessi esperti che accavallano teorie e scoperte che il più delle volte scoperte non sono, tendono a seppellire il fluire della realtà, o meglio, accatastarlo in un angolo: quando ne serve un pezzetto per farne un’arma, lo si va a prendere separandolo dal contesto e lo si piega a piacimento.

Chi ormai ha la creanza, o la cultura, o l’intelligenza, di considerare che senza il contesto in cui è capitato nessun fatto è vero?

È un concetto non abbastanza immediato e soprattutto non è funzionale.


Ecco, i giornalisti come Apollonio e il suo libro sono una piccola (non tanto piccola) cura, purtroppo isolata, a questo malanno. Una cura antica, erodotea, polibiana. Senza dirlo, ci richiama alla calma, all’attenzione, alla prudenza. Per questo è un volume prezioso, anche se il suo resoconto si ferma a inizio maggio, ma io spero sia un “volume 1”. Quando l’ho sfogliato, anche a me, che mastico cronaca da sessant’ anni, è venuto da far pausa, sedermi e ricordare.

Pensate al “paziente 1”, quello di Codogno, che non era “uno”, il “paziente 0”, quello cinese, che non era “zero”, tanto che ancora oggi non sappiamo niente di stabile sull’origine del virus: i pipistrelli, i serpenti, gli scimpanzè macellati a Wuhan, il salto dall’animale all’uomo, l’ipotesi della fuga da un laboratorio biochimico militare che sta proprio là, Apollonio ricostruisce tutte le ipotesi e mette loro ordine, ce le restituisce a futura memoria.

Il lockdown è stato l’altroieri, un evento traumatico senza precedenti, ma a distanza di due mesi la gente si è riversata nei luoghi di villeggiatura, si è ammassata nelle discoteche, ha affollato i locali e cerca di scrollarsi la responsabilità dalle spalle come un cavallo fa con un ospite sgradito: pare si sia del tutto dimenticata, o che abbia voluto dimenticare che il nemico invisibile è ancora e rimarrà a lungo un nemico alla porta.

D’altra parte è un istinto umano cercare di fermare il tempo, rincorrere il passato, calarsi nei panni più confortevoli dell’illusione e dell’amnesia.

Apollonio fa il contrario: racconta e spiega, con un linguaggio lineare da cronista, ogni passo dagli antefatti alla chiusura totale e poi alla Fase 3, ogni numero (qualcuno li ricorda? erano spaventosi) di questa tragedia collettiva, i camion di bare, ospedali e cimiteri senza tregua e senza spazio, i miliardi di investimenti promessi ma che non c’erano, la semiparalisi dell’Unione Europea, le ambiguità quando all’emergenza sanitaria ha cominciato ad affiancarsi e infine contrapporsi quella economica.

Con date, resoconti, citazioni, contraddizioni che solo in una summa scritta con il distacco di un osservatore posso-no avere evidenza.

Il libro riporta anche l’andamento delle politiche internazionali, le posizioni della Chiesa, il dissennato conflitto fra il governo romano e quelli regionali, il dito infisso sulla Lombardia. «Le polemiche sono il sale della vita», scrive Apollonio facendo cenno a un editoriale del tempo, era mio ma poteva, anzi avrebbe dovuto essere di tutti noi giornalisti, «ma quando sono inutili, basate sull’incompetenza, servono solo ad aumentare la confusione». Teniamolo a mente.

Apollonio ha costruito un’opera che non ha il vezzo di scalare le classifiche ma l’aspirazione di occupare le nostre case, cosicché rileggendolo potremo far salde opinioni veramente nostre, fondate sui fatti e sui dubbi, e non del primo che capita, anzi dell’ultimo che ha parlato e si è fatto sentire solo perché aveva più decibel.

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2 Responses

  1. Giustino'88 ha detto:

    Vogliono metterci il bavaglio, ma noi tiriamo avanti dicendo sempre quello che pensiamo caro giacomo-TO.

  2. Giacomo-TO ha detto:

    Il DIGITALE ha un enorme merito: permettere a chiunque di poter ESPRIMERE un’opinione, anche senza essere un giornalista.
    Ho trovato su alcuni BLOG notizie che i giornali si guardano bene dal divulgare.
    Non è un caso se U. Eco diceva che con Internet il cafone fa opinione.
    Il mondo è fatto per la maggioranza di persone comuni come chi scrive e se non fosse per il DIGITALE io non potrei esprimermi.
    Mi auguro che l’alfabetizazone informatica diventi realtà.
    Sono stufo di sentire soloni super pagati pontificare per il loro padrone.

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