Emergenza Covid. Fare presto!

di Clemente Luciano. “Fate presto”, fu il titolo del giornale “Il Mattino” di Napoli, all’indomani della tragedia del terremoto dell’Irpinia del 23 novembre 1980 che provocò quasi 3000 morti e 300.000 sfollati. Fu un titolo per raccontare una tragedia e la paura, la trepidazione, l’angoscia di tutta una gente timorosa di essere abbandonata, dopo le scosse, in mezzo al niente che era rimasto, di rimanere in una vita priva di esistenza, solo macerie di vita estratte da sotto le macerie di mura. Ed era una richiesta forte ed urgente alla politica e alle Istituzioni ad intervenire per alleviare le sofferenze di quella gente: “Per salvare chi è ancora vivo,per aiutare chi non ha più nulla”, recitava il sottotitolo di quell’appello disperato.

“Fate presto”. Quelle due parole fecero il giro del mondo per la la loro capacità di sintetizzare ed esprimere i sentimenti di quella tragedia ed Andy Warhol rese quella pagina un’opera d’arte e la portò nelle gallerie, agli occhi di tanti, per far riflettere, per far sentire la sofferenza, per far scavare a tutti, dopo le macerie di cemento, le macerie dell’animo, mostrando poveri resti e sopravvissuti.

“Per salvare chi è ancora vivo, per aiutare chi non ha più nulla”, recitava quel sottotitolo de “Il Mattino”, per insegnare a tutti che in ogni tempo di sofferenza la condivisione del dolore deve essere la dimensione delle proprie scelte.

Una richiesta di aiuto,ma anche la sollecitazione ai governanti di una visione “politica” che riuscisse ad andare oltre il limite dell’intervento immediato,immaginando già costruzione di un futuro di vita.

Oggi c’è un altro terremoto,diverso e più devastante.

A distanza di un anno e più,dopo i giorni di Codogno e Nembro e Alzano e quella lunga fila di camion militari con dentro le bare dei morti da covid,ancora oggi,quotidianamente,continua la conta dei morti da pandemia;una conta che si appropria con prepotenza degli spazi massmediatici.

Ma oggi,forse,l’attenzione del lettore-spettatore scema ormai nell’abitudine,e i numeri diventano cifre che non sanno più rendere il significato di una morte,di vite recise,del calvario di chi,sotto quei caschi,cerca di afferrare aria che non arriva.

Questa umanità sfinita da un anno di pandemia,cerca di sopravvivere non pensando che quei numeri dei morti segnano il confine tra un prima che è ancora “adesso” e un dopo che ancora non c’è;il limitare tra questa buia notte che ancora persiste ed un albeggiare di rinascita che ancora non c’è.

E allora anche qui,anche oggi,torna quel titolo di quel giornale.

Anche qui quel “Fate presto” è per i sopravvissuti alla nera e cupa notte del Covid che rischiano di non farcela a sollevarsi da sotto le macerie dell’immane tragedia della pandemia.

Le regole restrittive,imposte dal coronavirus,dettate nell’urgenza della prima ora e che hanno retto per il sacrificio del NOI-Comunità,ora non funzionano più.Lo schema è cambiato,perché il numero dei morti non impressiona più difronte a alle nuove urgenze economiche e sociali.Quel sottotitolo del “Mattino” vale ancora oggi più che mai.

“Salvare chi è ancora vivo,aiutare chi non ha più nulla”.

Queste nuove,ma in fondo previste,emergenze economiche e sociali sono di una gravità tale che ci fanno perdere la coscienza di un altro numero e di un’altra  cifra:il numero di chi ogni giorno diventa povero e di quelli,che,già poveri prima,diventano sempre più poveri.

Il numero dei nullatenenti è ogni giorno maggiore e le loro esistenze sono sempre più esistenze minori.Il passato di altre stagioni di pandemia deve far capire a chi ha l’obbligo di intervenire,che la situazione è enormemente drammatica.

Ritardare anche di un solo  minuto le soluzioni possibili e dovute è un atto non solo miope,ma irresponsabile e criminale.Ogni ritardo può generare impensabili sovvertimenti perfino insurrezionali.

Ritardare i vaccini è criminale.

Ritardare gli aiuti alla precarietà economica è criminale.

Ritardare la ripresa delle attività lavorative è criminale.

La gente non ne può più e se perfino dinanzi ai morti,ai propri morti,grida forte la insopportabilità alla condizione di prigionia nella quale è stata costretta dal virus ma anche da chi non ha saputo essere all’altezza del proprio mandato con decisioni scellerate e incompetenza di Stato,allora bisogna stare attenti davvero alla rabbia della gente,perché al virus di oggi può seguire quello di un domani non troppo lontano.

Un virus economico che può portare a ribellioni sociali che mai come in questi giorni sembrano essere già pronte a scoppiare.

“Fare presto” è l’obbligo,in quel poco tempo che ancora resta.Perchè sono questi i giorni nei quali si sceglie il futuro di pace e di benessere di questo Paese.Altrimenti il tempo di un futuro prossimo non sarà migliore di questo buio tempo di Covid.

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