Effetto Zelig.

di Marina Serafini. Accade di giorno, di sera, nel pomeriggio, al chiuso e anche all’aperto. Accade intorno a me, tra le persone che ascolto ed osservo. Accade che alcuni vogliano essere accolti, necessitano di venire apprezzati, e così fanno leva sulla stessa esigenza presente negli altri. Accade che io sono lì e mi sento come uno che assiste allo svolgimento di un gioco a premi. A chi tocca vincere dopo? Tira i dadi ancora una volta, e vediamo a chi tocca.
Guardo le persone negli occhi e mi concentro sui loro pensieri che vanno esponendo discorrendo con gli altri. A volte ho bisogno di fare domande, a volte di rallentare la corsa, a volte di esplorare i miei dubbi o la sensazione che tale eloquio suscita in me.
Ed ecco che accade, accade di nuovo: qualcuno si sente un po’ troppo osservato, fors’anche accusato – comunque discusso. Non è mia l’intenzione, io ho solo bisogno di entrare nel gioco, ma se parlo in un modo diverso devo arrivare a creare quel ponte. Possibile che non si riesca a vedere?
Se non ci fosse la stima non ci sarebbe l’ascolto, e quindi nemmeno il confronto. Ma ognuno finisce che difende il suo territorio, e chiunque, sia pure invitato,  conduce all’interno dell’ampio giardino i suoi passi, ecco che l’andatura diversa genera il caos. E allora l’allerta, la richiesta di aiuto sollecitando l’intervento di chi é vicino presente.
Purtroppo non vedo lo sforzo di cogliere la mano distesa ed il tentativo di entrare, ma la paura di perdere agli occhi degli altri presenti la forza unitaria dell’essere il leader. Ma questo perché? Perché altri, incapaci di fare, aderiscono in tutto passivi a quanto questi declama. 
Il fare su e giù con la testa ad ogni parola, l’interesse continuo composto dal si, e la ripetizione alternata delle parole ascoltate. Non c’è argomentare, non colgo espressioni, ma solo adesione totale. Fintanto che, stufa davvero, pongo anche a questi una qualche domanda. Ed ecco la crisi: la rigida maschera cade e la voce nervosa, che emerge arrancando dall’omertoso silenzio, quasi piangendo dice: non so, non ho capito… sono un poco confuso!
Ma allora perché quegli occhi sgranati e quei gesti ostinati in su e in giù con il collo? Perché le ripetizioni ossessive delle parole appena ascoltate, ma non digerite?
L’amore si dá nell’ascolto, non certo nell’adesione passiva. Io lo dico e lo ripeto di nuovo: il rispetto non si dimostra dicendo solo di si, ma nello sforzo di incontrare chi sta camminando con te. 
E se non colgo la direzione intrapresa, io non fingo di averla compresa, ma cerco di farlo davvero. Anche se per giungere a questo faró innervosire chi sta proseguendo da sé, sicuro che sia chiaro per tutti dov’è che poggia il suo piede.
L’amore, per me, si evidenzia laddove è ancora più oscuro il linguaggio ed entrambe le parti si prodigano insieme a rischiarare la via.
L’amore non é imitazione passiva: questo non é il modo più onesto di farsi apprezzare. Mostrare uno specchio é il trucco più vecchio del mondo: abbi il coraggio di esporti e vedi se l’altro ha voglia e piacere di interagire con te – o solo il bisogno di anonimi applausi…

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