È sempre più difficile conciliare il lavoro con la famiglia, soprattutto per le donne.
In Italia è sempre più difficile conciliare il lavoro con la famiglia: tante, troppe le ore trascorse fuori casa, per poi vedersi retribuire con stipendi da fame, assai prossimi ad un reddito di cittadinanza! E a rimetterci, come sempre, sono le neo-mamme che nell’anno segnato dal Coronavirus sono state costrette a lasciare il lavoro in misura maggiore rispetto ai neogenitori maschi.
Il rapporto dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, riferito al 2020 fotografa una realtà molto diversa rispetto al 2019: nello scorso anno solare sono stati 42mila i genitori di bambini da zero a tre anni a dare le dimissioni dal proprio impiego, un calo di quasi il 18% rispetto all’ultimo anno pre-pandemia. Le cessazioni da rapporto di lavoro complessive nel 2020 sono state oltre 9 milioni, con un calo del 17,7% rispetto al 2019: la motivazione prevalente è la scadenza del contratto, che coinvolge oltre 6 milioni di rapporti (-17,6%).
Le cessazioni richieste dal lavoratore, comprese le dimissioni, sono state 1,5 milioni (-15,1%). Oltre il 92% riguarda lavoratori inquadrati come operai o impiegati, con un’età tra i 29 e i 44 anni, e nell’88% dei casi la decisione è presa nei primi 10 anni di servizio.
Ma il fenomeno riguarda soprattutto le madri-lavoratrici: le donne sono infatti il 77% del totale, ma nel 2020 a diminuire sono state soprattutto le dimissioni dei papà (-31,1%) rispetto a quelle delle mamme (-13,6%).
Il Rapporto INL evidenzia inoltre come in presenza di figli la partecipazione all’occupazione aumenti negli uomini e si riduca nelle donne: una dinamica che non vede differenziazioni a livello territoriale e che ha valori più elevati tra i 25 e i 34 anni.
La motivazione più frequente è la difficoltà di conciliazione del lavoro con le esigenze di cura dei figli: sul totale di chi si dimette il 61% ha un figlio, il 32% due figli e il 7% più di due, e l’età che più incide è fino a un anno, poiché prevale l’esigenza di primo accudimento. Le segnalazioni di difficoltà di conciliazione per ragioni legate ai servizi di cura o ragioni legate all’organizzazione del lavoro, infatti, riguardano donne in una percentuale tra il 96% e il 98%.
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