È ora che Renzi si sganci dai rottami della sinistra.

di Francesco Alberoni. Renzi si trovava di fronte due alternative. O restare nel vecchio partito e cercare di impadronirsene oppure lasciarlo e fare un nuovo movimento come avevano fatto Bossi, Berlusconi e Grillo.

Un movimento che occupasse il centro e capace di offrire una casa sicura alla borghesia e alla piccola borghesia, come un tempo aveva fatto la Democrazia cristiana. Renzi ha avuto paura di scegliere questa strada e ha cercato di conquistare il partito. Probabilmente credeva di dominarlo, trasformarlo, convertirlo prendendone la segreteria e alcuni organi vitali. Non aveva capito che alla sua base c’era una smisurata struttura sociale-politica-sindacale che affonda le sue radici nella storia del Novecento, nel comunismo di Togliatti, di Berlinguer, nei partigiani, in Bella Ciao, nei sindacati, nei centri sociali, negli immigrati, nelle Acli, in una cultura arrogante convinta che tutti gli altri non valgono niente, mentre loro sono una razza eletta e perfino biologicamente diversa. E questo immenso apparato che continua a vivere nelle sezioni, nelle fabbriche, nei sindacati, nelle scuole, nelle banche, nella magistratura, nelle case editrici, nei centri culturali e nel cinema lo ha a poco a poco stritolato. Ma proprio ora che il Pd si sta avviando alla rovina, Renzi potrebbe trovare il coraggio di fare quello che non ha fatto allora, uscire dal partito, creare un movimento coi suoi compagni più fedeli ma spalancato a tutti. Lasciandosi alle spalle e le tradizioni della sinistra comunista e ciò che lui stesso ha fatto quando era nel partito e presentandosi sulla scena politica sullo stesso livello delle forze giovani di oggi: i Cinque stelle e la Lega di Salvini.

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