E’ davvero la televisione la causa di tutti i nostri mali?

di Vincenzo Andraous. La televisione non è il nostro genitore, neppure il nostro educatore, ancor meno il nostro compagno di viaggio. Per cui affermare che: “la vita mi è passata davanti, e non me ne sono accorto”, perché la televisione mi ha condizionato, o peggio ipnotizzato, è davvero una mera giustificazione. La televisione è l’imputata? La corte che giudica saremmo noi? Coloro che non hanno tempo per una carezza, né per una preghiera? O forse la verità è che siamo noi ad aver creato tanti bambini spot! Perché non ammettere che quando cominciano i compromessi con le proprie responsabilità di genitori, di educatori, di accompagnatori, si è destinati a una proiezione virtuale, che indica nei ragazzi una imbecillità non loro, ma piuttosto nostra. La televisione non è il fine che compie il percorso della nostra vita, è solo un mezzo per informarci e intrattenerci; per un tempo necessario, e non per intero. Dovremmo fare nostra la filosofia di S. Agostino, indipendentemente dalla fede che ognuno professa. Filosofia del dialogo e della relazione improntata a ribadire il valore della memoria, dell’intelletto, della volontà, per aiutarci a comprendere i segni di un disagio che è sempre più relazionale. Per non inciampare nella vulnerabilità delle giustificazioni, nelle incredulità costruite, nelle inadeguatezze improvvise. È una filosofia che potrebbe allontanare il pericolo incombente dell’inabitabilità dell’uomo con se stesso e con gli altri, figuriamoci in una pseudo convivenza mediatica. Il mondo comunque sarà sempre più basato sulle comunicazioni, ma ciò non contempla l’assunzione di un soggettivismo e relativismo che non accetta più alcuna verità. La famiglia, la scuola, la società sono sistemi divenuti complessi, e mettere ordine forzatamente equivarrebbe a creare un surplus di disordine. Perché dove c’è una complessità essa non sottende una complicanza, infatti la differenza fondamentale sta nel tempo… e di tempo non ce n’è mai a quanto pare. Ho l’impressione che non sia la televisione l’accusata, bensì le stagioni di parole che passano e che non riescono più a disegnare quelle lezioni straordinarie per non intendere, come ha detto qualcuno che: un semaforo rosso è solo il punto di vista del comune, non è una regola stradale. Forse affidarci a risposte più sfumate non significa andare incontro a conclusioni errate, ma a un giudizio meno approssimativo. Esistono geometrie che non conosciamo, incertezze, solo i comandamenti sono certi, indiscutibili. In conclusione siamo dentro fino al collo nell’era delle comunicazioni istantanee, stiamo diventando tutti navigatori-esploratori del multimediale. Proprio per questo sarebbe bene tendere a fare gli entronauti di noi stessi quanto meno per ascoltare-guardare con orecchi-sguardi nuovi i tanti figli, al palo, in attesa. Accompagnare costa sicuramente di più in termini di tempo e denaro, ma consente di rispettare nei più giovani il diritto a essere protagonisti attivi della propria crescita personale, e negli adulti di appropriarsi finalmente di vista prospettica, quanto meno per tentare di evitare abbandoni devastanti… di cui la televisione è sicuramente estranea ai fatti.

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