Dopo ‘quel’ 12 dicembre.

di Clemente Luciano. Erano le 16:37 di “quel” 12 dicembre 1969, quando dentro la Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano, scoppiò una bomba che fece 17 morti e 88 feriti: la scena che videro i primi soccorritori fu raccapricciante: un enorme buco al centro della sala, devastazione dappertutto, morti e corpi orrendamente mutilati, grida e lamenti da ogni parte.

Seguirono poi le indagini, indirizzate verso gli ambienti anarchici milanesi. E ci fu la morte dell’anarchico Pinelli (suicidio? omicidio?) nella questura di Milano. E ci fu l’omicidio del Commissario Calabresi. E ci furono poi una serie incredibile di processi con i coinvolgimenti dei personaggi più disparati.

Decenni e decenni di processi che mai hanno chiarito completamente i fatti e i responsabili di quel giorno. Ma quel 12 dicembre fu anche qualcosa di più. Perchè quel giorno fu una fine e un inizio. Fu la fine di un periodo di pace sociale e di sviluppo economico di cui la Repubblica aveva goduto per oltre vent’anni.E fu l’inizio.L’inizio di un diffuso malessere sociale,di una voglia di cambiamento manifestata dapprima con le contestazioni studentesche del ’68,con gli scioperi selvaggi,con lo spontaneismo sindacale incontrollato e anarcoide.E aumentò,all’ombra di certa politica,la creazione di gruppuscoli rivoluzionari,che,originariamente,erano stati sintomi di un’insofferenza verso i difetti di un regime di governo ingessato nel sistema di potere democristiano.

I rituali della politica italiana sembravano surreali in un mondo,soprattutto quello giovanile,eccitato dalle novità di Berkeley e della Sorbona.E l’Italia si ritrovò in un tempo nuovo e in una nuova dimensione mentre si avviava verso una trasformazione civile,sociale e culturale.Eppure il c.d. “establishement” ancora pensava che tutto questo subbuglio ideologico,tutte queste nuove istanze,potevano essere contenute e governate,nell’ambito di una falsa evoluzione della scietà,fatta di riforme di facciata,come quella della Scuola,dei primi anni ’70.

Non si intuì,invece,il pericolo di una degenerazione nella lotta violenta.E così in Italia ci fu la riconversione di una parte minima,ma attivissima,di quelle insoddisfazioni sociali in movimenti armati.E questo fu l’inizio di un decennio di delitti che flagellarono il Paese.

“La strategia della tensione” la chiamò il giornale britannico “The Obervator”.Dalla bomba di Piazza Fontana l’estremismo leninista trasse la convinzione che,a quella che considerava una strage di Stato,si dovesse rispondere imbracciando le armi.Questo velleitario militarismo trovò stimoli nella “rivoluzione culturale” cinese di Mao o nella guerriglia castrista a Cuba e,soprattutto nel mito della Resistenza tradita,che portò alla costituzione delle prime cellule delle Brigate Rosse.

Il decennio dell’eversione rossa e nera,debuttò con gli espropri proletari,proseguì con i sequestri di persona e si alzò di livello,con una serie interminabile di omicidi,culminati nell’uccisione di Moro e della sua scorta.Ma le vittime furono tante anche tra i politici,i magistrati,i giornalisti,gli avvocati,le forze dell’ordine.

Mai, nemmeno durante la guerra civile,l’Italia aveva assistito a esecuzioni quasi giornaliere di persone diversissime per estrazione sociale e convinzioni politiche,unite,nell’ottica perversa dei terroristi,dalla funzione di strumenti del Capitale.E se il terrorismo rosso era contrassegnato dall’estrema accuratezza nella scelta delle vittime,colpendo obiettivi simbolici,quello nero era indistinto e impersonale,essendo diretto contro bersagli di massa,come avvenne a Brescia,a Piazza della Loggia,con lo scopo di sollevare il panico e provocare un intervento dittatoriale,come in Grecia,dove 2 anni prima,i militari avevano preso il potere con la forza sopprimendo libertà e democrazia.

In tutto ciò Piazza Fontana rappresenta il simbolo di un travagliato periodo che costò all’Italia lacrime e sangue.

Quando agli inizi degli anni 80,dopo l’orrenda strage della stazione di Bologna e la liberazione del generale americano Dozier,entrambi gli estremismi furono duramente colpiti,l’Italia ritrovò quella via intrapresa nell’immediato dopoguerra,con nuove energie.

Ma non ci fu del pari un nuovo buongoverno.Ci fu,anzi,malgoverno e corruzione,che comportò di conseguenza il disfacimento e la perdita di autorevolezza e credibilità delle Istituzioni e dei partiti nella gente.

Fu allora che,difronte a questo stato di cose,la magistratura si autoassegnò il compito del risanamento,potendo contare sul consenso di una popolo stanco di un sistema corrotto dei partiti.Fu così che la magistratura costruì le proprie fortune,coltivando però ad un certo punto,l’intento di affievolire e sostituire il ruolo della politica in una sorta di devoluzione alle toghe della gestione degli interessi collettivi.

Ed ancora oggi il sistema dei partiti non ha saputo ritrovare una Politica con la P maiuscola, il senso bello e alto della politica.Ed è questo,forse,il problema più serio di cui soffre la Democrazia italiana.

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