Davvero pensate che la colpa sia tutta della legge elettorale? La differenza tra inciucio e arte politica.

di Paolo Cirino Pomicino. Venticinque lunghi anni di sciocchezze politiche, di fughe in avanti e di crisi culturali profonde hanno seminato nel paese un vento umidiccio e soffocante che ha portato alla tempesta politica di oggi.
Ed anche in questa occasione lo sciocchezzaio si alimenta quasi quotidianamente con nuove trovate. Tutti accusano per la crisi politica odierna la legge elettorale ed il ritorno al proporzionale ma nessuno ricorda che il primo governo Prodi del 1996 vedeva ben sette partiti in maggioranza ed altrettanti con un appoggio esterno (Pds, Ppi, Verdi, Rinnovamento italiano, Rifondazione comunista Volkspartei, la Rete in maggioranza). E fu l’inizio dell’era del maggioritario che avrebbe dovuto voltar pagina rispetto al pentapartito della prima repubblica e garantire una migliore governabilità e che invece produsse approssimazione politica e saccheggio del paese. E fu lo stesso Prodi che nel 2006 fu costretto a ripetere un governo con sette partiti in maggioranza per non parlare dei governi del centro destra.
Nessuno ricorda che la legge elettorale altro non è che una macchina fotografica che rileva le opzioni politiche di un paese ma quando il paesaggio è decomposto e desolato la colpa non è della macchina ma è del paesaggio stesso. Fuor di metafora da 25 anni in Italia c’è una crisi politica profonda nata da un coacervo di forze culturali e politiche che con la caduta del comunismo internazionale ritennero che tutte le altre culture avessero fatto la stessa fine e questa pelosa convinzione alimentò prima la devastazione del biennio ’92-’94 e poi la proliferazione di partiti dai nomi fantasiosi e sempre più personalizzati.
Chi non ricorda la criminalizzazione dei partiti e delle rispettive identità, della fine della differenza tra destra e sinistra, del partito leggero fino alla evaporazione, della vocazione maggioritaria di veltroniana memoria, del programma come nuovo elemento identitario al di fuori di qualunque riferimento culturale e quindi le circa trecento pagine di programma scritte nel 2006 dal povero Romano Prodi spesso vittima del nuovismo sciatto e inconcludente. In questa sarabanda di sciocchezze e di potere di basso profilo si arrivò prima alla rottamazione di chi non aveva più quarant’anni e poi alla eliminazione del concetto fondamentale della democrazia parlamentare sotto tutte le latitudini e cioè quello delle alleanze politiche tra soggetti diversi che dalla nobiltà del compromesso scivolarono nel disprezzo dell’inciucio, parola evocante l’imbroglio per la conquista del potere.
E siamo alla crisi di questi giorni in cui campeggia sovrano il disprezzo delle alleanze ritenendole spesso fonti di contagio politicamente repellenti. Naturalmente le due ulteriori novità introdotte dalle elezioni del 4 marzo, le sorelle gemelle dell’ignoranza e dell’arroganza, hanno aggravato una situazione già di per sè sfilacciata e inconcludente per cui il pomposo Capo Politico del primo partito che ha meno di un terzo dei voti degli italiani si ritiene già il premier e tenta di consultare lui le altre forze politiche. Non sappiamo se si è introdotto il germe della follia o siamo alla goliardia di antica memoria. Purtroppo anche la grande informazione spesso si perde nel raccontare la cronaca senza riflettere sulle ragioni di fondo della crisi culturale che ha colpito l’intero sistema politico italiano e così non aiuta il sistema a trovare la via di uscita.
La saggezza del presidente della repubblica probabilmente ne troverà una delle poche soluzioni rimaste in campo ma l’unica vera strada percorribile a nostro giudizio resta quella di un presidente del consiglio individuato dal colle capace di organizzare un consenso a geometria variabile nelle Camere per un governo in grado di attendere alle più urgenti scadenze nazionali ed internazionali preparando una nuova legge elettorale o, se si trovasse il coraggio, una nuova forma di governo trasformando la nostra democrazia parlamentare in una democrazia presidenziale all’americana lasciando così il tempo ai partiti di ritrovare quella bandolo di una matassa smarrita fatta di cultura politica ed economica capace di rispondere alle pressanti domande della nostra società.

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