di Redazione. Il contratto di governo è un abito troppo stretto sia per la Lega, che per i 5stelle.
Con la differenza, sostanziale, che la Lega è stata votata dagli italiani per andare al governo del Paese non con i pentastellati, bensì con il centrodestra unito per attuare un programma ben definito che riguardava non solo la regolamentazione dei flussi migratori, ma anche e soprattutto lo sgravio fiscale per imprese e famiglie.
Alleggerire la tassazione sul lavoro – riducendo il cuneo fiscale e le imposte sui beni immobili – resta il volano per far ripartire l’economia e rianimare il Pil.
Ma poi è andata come è andata e oggi ci ritroviamo con questo inedito esecutivo giallo-verde che quando c’è da mettere nero su bianco litiga su tutto, da ultimo anche per la tassa sulle auto di cui gli italiani hanno bisogno per spostarsi.
Ma lo scoglio sul quale rischia di naufragare il governo è quello economico.
Costringere gli italiani a tirare la cinghia, come se fino ad oggi avessero scialato, per pagare il reddito e la pensione di cittadinanza a chi se ne sta a scaldare il divano o lavora nel sommerso e a chi non ha mai versato un centesimo di contributi previdenziali, è inaccettabile non solo per imprenditori, artigiani e commercianti che in tremila sono andati a Torino per farlo presente al governo, ma anche per quei cittadini che campano di lavoro dipendente e di pensione pagando fino all’ultimo centesimo di tasse e di contributi.
Pertanto se la Lega continuerà ad appiattirsi sui grillini in quanto a ricette economiche, ostinandosi in questa alleanza di governo contro natura, tra non molto saranno tanti gli elettori a “perdere la pazienza” che andranno a rivolgersi ad un altro indirizzo politico.
I contratti vanno sì rispettati, ma – quando si spinge troppo sull’acceleratore dell’assistenzialismo a gogo – si può sempre esercitare il diritto di recesso.
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