Conte organizza gli Stati genitali (pardon, generali).

di Vittorio Feltri. C’è un concetto elementare che non entra nella testa dei nostri politici da decenni. Prima di distribuire ai bisognosi la ricchezza occorre produrla, accumularla e amministrarla come Dio comanda. E chi è in grado di produrla se non gli imprenditori con il loro lavoro e quello di dipendenti, operai, impiegati e dirigenti? Non dovrebbe essere difficile capire come funziona il mercato, le cui regole sono identiche a quelle adottate dalla maggioranza delle famiglie italiane.

Se un padre e una madre sono occupati e incassano – poniamo – quattromila euro al mese, ovvio che in trenta giorni non possano spendere più di questa cifra, altrimenti il loro bilancio va in rosso e necessita di essere foraggiato da un prestito, magari elargito da una banca. Ma ogni prestito va restituito. Per cui i due signori in questione per rimettere in ordine i conti saranno costretti a risparmiare onde otturare il buco.

Questo si chiama conto della serva. Chi non lo sa fare salta per aria. I nostri governi sono incapaci di tagliare le spese, o meglio, temono che, qualora procedessero in questo senso, perderebbero consenso elettorale. Pertanto insistono nel versare soldi a cani e porci, magari sotto forma di reddito di cittadinanza o di bonus vari, senza calcolare che sborsare quattrini che non si hanno in tasca significa ingrossare il passivo statale mettendosi in condizioni di non poterlo ripianare. Ecco perché Conte confida nei capitali europei. Chiede liquidi alla Ue con la pretesa di non spiegare come e perché saranno investiti.

Quasi che le casse comunitarie fossero un bancomat a disposizione di chiunque. Eppure un esecutivo serio non dovrebbe mai vivere di elemosina, bensì arrangiarsi con i propri mezzi. Vero che l’Italia consegna svariati miliardi di contributi a Bruxelles, però se ciò che invia supera ciò che riceve, come pare, c’è una sola maniera per rimediare: pretendere somme più alte oppure uscire senza polemiche dal consesso europeo. Tertium non datur.

Tuttavia il nodo centrale rimane il solito: uno Stato che si preoccupa di regalare moneta che non possiede rimedia soltanto figuracce. Noi vogliamo finanziare commercianti ed esercenti, piccole e medie aziende, desideriamo retribuire i lavoratori ricorrendo alla cassa integrazione, addossando ogni onere all’INPS, pensiamo cioè sia facile avere la botte piena e la moglie ubriaca. In realtà la botte è vuota e la moglie è incazzata nera.

Cosicché mettiamo a rischio la pace sociale, alimentiamo la povertà e non ci impegniamo a rimpinguare il salvadanaio pubblico. Risultato? Siamo in crisi profonda e dobbiamo confidare nella saggezza del popolo, i risparmi privati del quale sono tra i più cospicui del continente. In sostanza la gente comune ha già dimostrato di essere più avveduta degli addetti all’esecutivo nostro, forse il peggiore del mondo occidentale.

Il povero Giuseppe Conte non è all’altezza del proprio compito, si barcamena cercando di salvare la propria poltrona, organizza gli Stati genitali (pardon, generali) che non servono a nulla se non a gettare fumo negli occhi ai cittadini.

In altri termini, il nostro è un governo prêt-à-porter che arreca soltanto scalogna. Prima ce ne liberiamo e meglio è. Intanto non ci resta che bestemmiare. Segnalo infine che entro luglio dovremo compilare la denuncia dei guadagni e cacciare molti euro di tasse, ai quali si aggiungerà, a novembre, un altro esborso fiscale. Sarà comunque il festival dell’evasione, visto che gli esattori non hanno l’abilità di scovare i numerosi furbacchioni che costituiscono l’asse portante del fallimento nazionale.

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