Col Vitalizio la politica divorzia dal Paese reale.

di Andrea Amata. Il voto della Commissione contenziosa del Senato che ha restaurato i vitalizi dei senatori, annullando la delibera del Consiglio di presidenza adottata nell’ottobre del 2018 che tagliava la prebenda agli ex parlamentari, rappresenta un ripugnante autogol.

In tempi di lacerazione sociale, con una crisi economica che incombe come un macigno sulle famiglie e le imprese, ripristinare il privilegio della rendita economica assume il sapore amaro della beffa.

La politica non può imporre sacrifici al popolo e al contempo sottrarvisi, riesumando prerogative incompatibili con la congiuntura di malessere diffuso.

L’atto deliberato dall’organo giurisdizionale del Senato esprime un gesto di arroganza e di irrisione verso milioni di cittadini italiani soverchiati della più devastante crisi economica in tempo di pace. Il Palazzo, che ostenta tale tracotante impassibilità a ciò che accade all’esterno del suo ovattato perimetro, merita di essere metaforicamente demolito.

Ripristinare i vitalizi nel tempo corrente può autorizzare l’indignazione a degenerare in ribellione, non tanto per il valore economico e politico della sua parziale abolizione quanto per il simbolo negativo che rappresenta con il rischio di acuire un vuoto preoccupante fra Paese legale e Paese reale nel momento in cui le due dimensioni dovrebbero congiungersi in un sodalizio per fronteggiare il comune “nemico”.

Invece, i garantiti per antonomasia rinunciano al sacrificio di una irrilevante decurtazione dell’assegno perpetuo, restaurando la rendita integrale. Un messaggio che diventa irricevibile per i tanti operai rimasti senza lavoro o per gli imprenditori che hanno anticipato la Cig ai loro dipendenti.

Nella Commissione, fautrice della decisione oscena, hanno votato contro il senatore Simone Pillon della Lega e l’ex M5s Alessandra Riccardi, mentre a favore del vitalizio “indenne” al taglio si sono espressi Giacomo Caliendo di Forza Italia e i tecnici, nominati dal Presidente del Senato Elisabetta Casellati, Gianni Ballarini e Giuseppe Dalla Torre.

Sarebbe doveroso che l’organo di Palazzo Madama si riunisse di nuovo per correggere in autotutela una decisione antistorica.

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