Cina, stop all’import dei rifiuti. UE, vietato l’esport di plastica.

di Attilio Runello. L’Unione Europea ha disposto che dal primo di gennaio 2021 non si possono più esportare tutti i rifiuti di plastica non riciclabili nei paesi in via di sviluppo.

Contemporaneamente la Cina ha applicato – sempre dal primo di gennaio di quest’anno – una decisione già presa nel 2017:  non importerà più rifiuti dall’occidente. In precedenza lo faceva perché in quanto paese povero di materie prime, ma con il secondo apparato industriale al mondo, usava plastica e carta in particolare per produrre nuovi oggetti con cui poi invadeva i nostri mercati. Sembra però che per quanto si trattasse di rifiuti differenziati era pur sempre necessario un notevole lavoro di ripulitura.

Anche l’Italia esporta notevoli percentuali di rifiuti in forma più o meno differenziata. Un nuovo sbocco che si apre a queste esportazioni è la Malesia e la Turchia.

Tuttavia l’imposizione dell’Unione europea ci porterà a rivedere l’uso che facciamo dei rifiuti.

In Italia non mancano le aziende in grado di riciclare carta e plastica. Ma il mercato interno non è in grado di assorbire l’offerta.

 

I motivi sono i più svariati. Per esempio il basso prezzo del petrolio può far risultare più conveniente ricorrere alla materia prima anziché al prodotto riciclato. Inoltre, per quanto ci si sforzi di fare la differenziata, il prodotto non sarà mai privo di materiali estranei. Anche la produzione di cellulosa dalla carta riciclata inoltre produce residui che vanno nei termovalorizzatori, dove esistenti. È noto infatti che dal Lazio in giù di termovalorizzatori ne sono stati fatti pochi e si ricorre alle discariche.

Il mito coltivato da alcuni che con la differenziata si risolvono tutti i problemi è soltanto un mito. Da come stanno le cose adesso sarà opportuno che l’industria della distribuzione trovi alternative alla produzione di packaging di ogni tipo per farci avere i beni di consumo. Sempre che non vogliamo morire soffocati nella differenziata.
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IL COMMENTO. di E.S. Caro Signore, intanto cominciamo col dire che il termine “termovalorizzatore” è sbagliato, si chiamano “inceneritori”.

Poi, in Italia le aziende che lavorano la cosiddetta “materia prima seconda” cioè materiale da riciclo ci sono ma non solo, noi siamo importatori netti di vari tipi di fluff o residui pre-trattati di plastiche per l’industria, altro che se siamo in grado di assorbire l’offerta.

Ciò che in Italia manca sono i fondi a favore di coloro che si occupano di differenziare e pre-trattare le innumerevoli “ricette” di plastiche; nel contempo, per sostenere l’industria della plastica stessa, non si riesce ad avere una “plastic tax” come molti altri e che induce, specialmente per i contenitori alimentari, a praticare la “politica del reso”.

Guida alla sicurezza negli impianti di incenerimento dei rifiutiIl problema degli inceneritori: nessuno li vuole nel proprio giardino, non se ne costruiscono più perché sono estremamente cari e non possono più accedere a contributi europei da alcuni anni: in classifica si collocano un gradino sopra la discarica. Inoltre sotto una certa quantità conferita non funzionano. In più: l’umido va prima seccato, la carta ed il legno hanno scarso potere calorifico, il residuo secco non brucia, così alla fine rimane la plastica. Il tutto va comunque pretrattato ed il residuo è superiore al 10% del volume e del 15-20% in peso del rifiuto immesso, residuo che va trattato. Ancora, circa il 5% di ceneri, e quelle fini altamente tossiche, sono soggette a proprie disposizioni di legge e stoccate in discariche speciali. Le acque di raffreddamento vanno poi depurate, il tutto con l’energia prodotta dall’impianto che a volte ha bisogno dell’immissione di gas per raggiungere risultati.

Con la differenziata e le operazioni di recupero conseguenti non si risolvono “tutti” i problemi, ma tanti sì, “non è un mito”: ricorda 10 anni fa cosa si pensava, ad esempio, del futuro che avrebbe avuto l’auto elettrica? o le energie rinnovabili?

Chi studia c’è già, sono tante le nuove tecnologie destinate alla preselezione e alla trasformazione, (veda ECOMONDO, la Fiera di Rimini). Servono investimenti mirati, serve “contribuire” al miglioramento, non avere paura di penalizzare o decontribuire ciò che ha prodotto “gli inquinamenti” di cui soffriamo, e favorire la transizione eco sostenibile.

Si può fare? Sì, certamente, guardi solo all’investimento Superbonus 110% sull’efficientamento delle nostre case: vale miliardi e favorisce l’industria, i servizi, la ricerca e chi ha una casa che ha acquistato come meglio poteva.

Un Saluto

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2 Responses

  1. Vincenzo M. ha detto:

    In questi giorni è emersa nuovamente la questione, rinviata da tempo, sul dove depositare tonnellate di scorie radioattive prodotte nel nostro Paese. L’Unione europea ha sancito che ogni singolo Stato membro debba smaltire i materiali radioattivi che produce sul proprio territorio in apposite strutture, prevedendo la costruzione di un deposito unico.

  2. Enzo ha detto:

    Caro Signore, intanto cominciamo col dire che il termine “termovalorizzatore” è sbagliato, si chiamano “inceneritori”. Poi,
    in Italia le aziende che lavorano la cosiddetta “materia prima seconda” cioè materiale da riciclo ci sono ma non solo, noi siamo importatori netti di vari tipi di fluff o residui pre-trattati di plastiche per l’industria, altro che se siamo in grado di assorbire l’offerta.

    Ciò che in Italia manca sono i fondi a favore di coloro che si occupano di differenziare e pre-trattare le innumerevoli “ricette” di plastiche; nel contempo, per sostenere l’industria della plastica stessa, non si riesce ad avere una “plastic tax” come molti altri e che induce, specialmente per i contenitori alimentari, a praticare la “politica del reso”,

    Il problema degli inceneritori: nessuno li vuole nel proprio giardino, non se ne costruiscono più perché sono estremamente cari e non possono più accedere a contributi europei da alcuni anni: in classifica si collocano un gradino sopra la discarica. Inoltre sotto una certa quantità conferita non funzionano. In più: l’umido va prima seccato, la carta ed il legno hanno scarso potere calorifico, il residuo secco non brucia, così alla fine rimane la plastica. Il tutto va comunque pretrattato ed il residuo è superiore al 10% del volume e del 15-20% in peso del rifiuto immesso, residuo che va trattato. Ancora, circa il 5% di ceneri, e quelle fini altamente tossiche, sono soggette a proprie disposizioni di legge e stoccate in discariche speciali. Le acque di raffreddamento vanno poi depurate, il tutto con l’energia prodotta dall’impianto che a volte ha bisogno dell’immissione di gas per raggiungere risultati.

    Con la differenziata e le operazioni di recupero conseguenti non si risolvono “tutti” i problemi, ma tanti sì, “non è un mito”: ricorda 10 anni fa cosa si pensava, ad esempio, del futuro che avrebbe avuto l’auto elettrica? o le energie rinnovabili?

    Chi studia c’è già, sono tante le nuove tecnologie destinate alla preselezione e alla trasformazione, (veda ECOMONDO, la Fiera di Rimini). Servono investimenti mirati, serve “contribuire” al miglioramento, non avere paura di penalizzare o decontribuire ciò che ha prodotto “gli inquinamenti” di cui soffriamo, e favorire la transizione eco sostenibile.

    Si può fare? Sì, certamente, guardi solo all’investimento Superbonus 110% sull’efficientamento delle nostre case: vale miliardi e favorisce l’industria, i servizi, la ricerca e chi ha una casa che ha acquistato come meglio poteva.

    Un Saluto
    Es.

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