Atletica leggera. L’Oro di M. Jacobs.

di Alberto Sigona. E’ trascorso un mese e mezzo dall’epica apoteosi sui 100 metri realizzata da Marcell Jacobs alle ultime Olimpiadi, ma il ricordo di quell’incredibile exploit è ancora fulgido.

ORO VIVO

L’Italia aggiudicandosi quella gara non si è limitata a compiere un’impresa da urlo ma ha realizzato nel contempo una vera rivoluzione.

A distanza di un mese e mezzo dai Giochi Olimpici di Tokyo 2020 possiamo dire che ci sono varie immagini che per noi italiani rimarranno per sempre impresse nella nostra memoria. Di certo le istantanee che non potremo mai obliare riguardano l’Atletica Leggera, in cui abbiamo sorvolato picchi proibiti, rasentando l’infinito, come dimostra la sensazionale cinquina di medaglie d’Oro conquistate, per un bottino che in una singola disciplina, alle Olimpiadi, avevamo racimolato soltanto ad Anversa 1920 (nella Scherma, trascinati dall’eroico Nedo Nadi, il più grande italiano all time) e Roma 1960 (nel Ciclismo). Certo, storicamente l’Italia era sempre stata in auge in codesta disciplina (per una tradizione che affonda le radici ai tempi di Ugo Frigerio), ergendosi fra le migliori scuole d’Europa, ma non si era mai spinta così in alto (nemmeno ai tempi delle vacche grasse anni Ottanta) come avvenuto in Giappone.

Un exploit tanto sublime quanto imprevedibile, visto che negli ultimi due decenni gli azzurri erano piombati in un autentico anonimato, al punto da far apparire ultra sbiaditi e lontani i tempi di gloria, da indurci a pensare che non avremmo mai più rivisto la luce, col timore di essere smentiti che lambiva lo zero. E puntualmente ad ogni rassegna internazionale di rilievo, siffatta convinzione, pur limitativa, ne usciva visibilmente rafforzata da ripetute debacle colossali e da consuete frustrazioni indicibili, da far apparire ridicola ogni aspirazione di rinascita.

Sì, è vero, negli ultimi due anni il nostro indice di mediocrità sembrava stesse iniziando a spostarsi verso gradi più accettabili, col nostro movimento che finalmente accennava qualche timido segnale di vita (ma non di vitalità…), tuttavia ormai il pessimismo cosmico s’era talmente impadronito della ragione, che si tendeva inconsciamente ad ignorare quelli che a tutti gli effetti erano dei veri e propri segnali di risveglio, scambiandoli per le solite vacue ed odiose illusioni. Così, ad esempio, in pochi si erano curati dell’ascesa di G. Tamberi nel Salto in Alto e soprattutto del crescendo irresistibile di M. Jacobs, il cui record italiano stabilito poche settimane prima del via dei Giochi era stato equiparato dai più ad una sortita estemporanea priva di conseguenze idilliache (in pochi, fra gli addetti ai lavori, gli avevano pronosticato un piazzamento fra i primi 3, quasi nessuno lo aveva proiettato al 1° posto…), di quelle che nel tempo di un amen sarebbe svanita nel nulla, andandosi a convogliare nel buco nero delle nostre stupide utopie.

Proprio il ragazzo originario di El Paso (Texas) avrebbe, invece, dato vita alla principale esibizione della nostra rassegna a cinque cerchi, aggiudicandosi una medaglia d’Oro che costituisce probabilmente il momento più alto della storia del nostro sport relativamente all’ultimo mezzo secolo. Il suo trionfo, infatti, è stato il primo per un italiano sui 100 metri fra Olimpiadi (in cui non eravamo mai andati in finale) e Mondiali (comprendendo anche l’indoor), per una gara – ritenuta da molti la “regina” dei Giochi – in cui un europeo non s’imponeva addirittura dal 1992 (ovvero da quasi 30 anni), per un totale di soli 5 successi olimpici per i rappresentanti del vecchio continente (fra l’altro alcuni di questi erano di pura etnia africana), che negli ultimi decenni sembrava essersi inabissato fra le tortuosità di una specialità in cui svettare (ma persino giungere fra i primi 5) stava diventando sempre più difficile, quasi proibitivo per gli esseri mortali, specialmente di categoria non africana o caraibica (che a volte, per via delle nazionalizzazioni facili, si intrufolavano anche ai Campionati d’Europa…).

L’Italia, perciò, vincendola (e nella relativa staffetta avrebbe addirittura concesso il bis!) non si è “limitata” a fare un’impresa, pur pazzesca e forse irripetibile (se non con lo stesso Jacobs), ma ha realizzato una vera rivoluzione, di quelle che rivoltano il tempo e sovvertono la storia. Con l’auspicio che tale impresa possa essere il trampolino di lancio per ulteriori exploit sensazionali, e che l’impossibile non diventi più un’eventualità remota ma una sorta di pretesa. In proposito mi tornano in mente le parole di Che Guevara che un giorno di molti anni fa affermò: “Siate realisti, chiedete l’impossibile”.

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