A Natale non crediamoci più buoni: non compriamo cani che poi non terremo.
La sorte di Elly ricorda quella di molti levrieri allevati per le corse, poi invecchiati o reputati inadatti, destinati ad essere abbattuti con eutanasia nel migliore dei casi, ad essere legati ai tralicci del treno, legati ad auto in corsa o abbandonati in posti sperduti con la museruola. Lo spago sul muso di Elly o la museruola che rende il levriero folle di fame e sete, col muso ferito per i tentativi di strappare alla morte la sua gabbia sono quel surplus di dolore impossibile da accettare, perché inumano, perché assurdo. Se è certo che abbandonare un cane è destinarlo ad un inferno, da cui solo raramente l’animale uscirà vivo, l’abbandono rientra ancora nella logica malata di una società del consumo e dell’uso – quella che non conosce crisi – che si sbarazza di ciò che non serve, lasciando il cane ad un destino sospeso dietro cui trincerarsi come la migliore delle ipocrisie. E nella società della visione, si sa, ciò che non si vede, non esiste o comunque, può essere dimenticato. Tuttavia, la condanna imposta ad Elly o ad uno dei tanti cani di cui facilmente si possono trovare storie analoghe, esce da quella meschinità connessa alla natura umana, si allontana dalla più trita vigliaccheria per entrare nell’orrore che più fa male, perché privo di senso, quello che leva le forze perché impossibile da combattere, perché impossibile da capire. Il dolore del non senso è il dolore del terzo millennio, quello della noia, dell’oltre, delle sensazioni forti o dei sentimenti attutiti, del tutto concesso. E’ il dolore che leva la speranza e, forse, anche qualsiasi forma di fede. Perché in fondo, il messaggio del Natale dovrebbe essere questo: rinnovare un patto con Dio, per chi crede; tra uomini in ogni caso, in nome di una speranza, con la voglia reciproca di ingannarci e avere fiducia in un domani migliore. E seppure il Natale non è altro che una grossa bolla, lasciamo, che, per un anno restino lontani da questi giorni i regali che ci fanno sentire migliori finché sono accese le luminarie e continua la festa; evitiamo che per un cane la gioia non sia altro che un breve conto alla rovescia, e insegniamo ai nostri figli il valore della responsabilità e il rispetto necessario per rapportarsi con l’altro – avesse anche quattro zampe – o la sincerità che comporta l’ammettere che non vogliamo o non possiamo cambiare la nostra vita per un sì da pubblicità. La speranza di migliorarsi nasce solo dalla piena consapevolezza di ciò che siamo e vogliamo nel rispetto reciproco. Sembra nulla, eppure, da questa consapevolezza, a volte, dipende la vita di un cane, e non solo.
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