A che vale votare se poi fanno come gli pare?

A che vale votare se poi fanno come gli pare? Abbiamo votato per una coalizione di governo e poi ce l’hanno cambiata per ben tre volte con tre governi non eletti. E la terza volta un “premier senza voto” si è permesso di cancellare l’Articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, di cambiare la Costituzione e di abrogare, con un emendamento di poche righe, il cuore della legge di iniziativa popolare sull’acqua pubblica. Che senso ha aver votato una battaglia referendaria di quasi dieci anni, culminata con un referendum plebiscitario se poi chi non è mai stato eletto dal popolo si permette addirittura di cancellare
l’articolo 6 di quella legge, ovvero che l’acqua deve essere pubblica, che la gestione dei servizi idrici deve essere pubblica e che le infrastrutture che portano l’acqua fino ai nostri rubinetti rimangano anch’esse pubbliche? Oggi è toccato all’acqua, domani alla scuola, alla sanità, alla giustizia e alla sicurezza. E quel che un tempo si temeva, oggi si sta biecamente concretizzando: arriveremo a pagare pure l’aria che respiriamo! A questo punto ritorna più inquietante che mai la domanda: a cosa serve votare se poi fanno come gli pare, prima (liste di partito), durante (brogli) e dopo (cambio di casacca) le consultazioni popolari? E alla luce dei recenti fattacci di Roma, Napoli, Milano e Acqua privatizzata, che senso ha recarsi ancora alle urne per il referendum sulle trivelle e per il sindaco se poi il voto dei cittadini viene scientemente disatteso e sbeffeggiato?
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DENIS E LULA HOOP. di Massimo Gramellini. A dispetto dei gufi, con baffetti e no, ormai Renzi si colloca molto più a sinistra della sinistra sudamericana. Infatti, mentre in Brasile la compagna Dilma Rousseff è arrivata a nominare Lula ministro pur di evitargli l’arresto, in Italia nessuno pensa ancora di offrire un posto di governo al Verdini condannato a due anni per corruzione. Ci si limita a tenerlo dentro la maggioranza: a portata di mano, pulita o sporca che sia. Da una parte all’altra dell’oceano, il messaggio che la politica e i partiti cosiddetti progressisti mandano ai cittadini è: chi se ne infischia se un nostro sodale è nei guai con la giustizia, basta che ci sia utile o che lo si debba ricompensare per qualche servigio. La politica è un cinico gioco di potere da molto prima di «House of Cards» e anche di Machiavelli, che ne mise per iscritto la teoria. Rimane il problema di farla convivere con un simulacro di democrazia, che presuppone la partecipazione al gioco da parte dei cittadini. I quali ogni tanto vorrebbero illudersi che la posta in palio siano gli slanci ideali e gli interessi concreti delle persone. Invece la politica si presenta al giudizio degli elettori nella sua nudità, intessuta di bramosie e convenienze completamente sganciate da qualsiasi obiettivo che non sia la conquista o la conservazione del potere. Esimi politologi ci spiegano con un sorriso di degnazione che non può essere che così. Allora la smettano di stupirsi se le urne si svuotano. E se il mantra degli astenuti non è più «non mi interessa», ma «mi disgusta».

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