La compassione è tanto più forte quanto più vicine a noi sono le vittime. E viceversa.

di Luciana Piddiu. Se solo avesse letto le riflessioni di Marta Nussbaum, Selvaggia Lucarelli ci avrebbe risparmiato quel commento inopportuno e volgare sullo spazio eccessivo, a suo dire, dedicato dalla stampa alla morte tragica di Luana D’Orazio. Lucarelli pretende che, nel caso in cui un operaio rumeno senza un dente muoia sul lavoro, la stampa dedichi alla vicenda uno spazio analogo a quello utilizzato per la giovane operaia di Montemurlo. Macabra gara di visibilità, come se la compassione si potesse distribuire in parti uguali, un tanto a testa, secondo il criterio ideologico del ‘politicamente corretto’.

La compassione, il condividere lo stesso dolore, è cio che ci ha reso umani facendoci uscire dallo stadio ferino, come aveva ben intuito Ugo Foscolo ne ‘I Sepolcri’. Un essere umano viene colpito da una disgrazia terribile, che disvela al mondo la vulnerabilità dell’essere mortali; quando questo accade senza la responsabilità di chi viene falcidiato, le nostre viscere hanno un moto di dolore. Noi ci immedesimiamo in quella persona e capiamo nello stesso tempo che anche a noi sarebbe potuto capitare qualcosa di altrettanto tremendo.

Questo accade perché la compassione non è una semplice emozione che attiene alla fisiologia del nostro essere, ma è sostanziata da elementi cognitivi e immaginativi. Ci identifichiamo nell’altro da noi grazie alla capacità immaginativa e comprendiamo cos’è accaduto. Nel caso della giovane operaia, apprendere che la famiglia cui apparteneva era già stata messa alla prova da una storia familiare intessuta di dolore, ce l‘ha resa ancora più cara.

Ma perché alcune tragedie ci colpiscono più di altre? Marta Nussbaum si interrogò a lungo su questo tema dopo il terribile incidente aereo del Boeing 747-131, che partito dall’aeroporto Kennedy di New York si inabissò dodici minuti dopo il decollo nell’Oceano Atlantico, uccidendo tutte le 230 persone che si trovavano a bordo.

I giornali dedicarono ampio spazio alle vittime, alle loro vite, ai loro volti. L’ondata di sgomento fu enorme. Tutti volevano sapere il come e il perché fosse capitato. Trovavano inaccettabile l’evento traumatico. Secondo Nussbaum la compassione è tanto più forte quanto più vicine a noi sono le vittime. E viceversa. Fatti tragici accadono nel nostro pianeta in ogni momento, ma se noi non sentiamo profonda affinità con le vittime, ne siamo coinvolti solo superficialmente, in modo astratto.

Per questa stessa ragione, quando ci fu la strage del Bataclan, ci colpì certamente l’enormità della tragedia, la morte di tanti giovani inermi, ma ci sentimmo profondamente coinvolti dalla vicenda di Valeria Solesin e tempo dopo da quelle di Fabrizia Di Lorenzo e Antonio Megalizzi. É umano che sia così. Non c’è alcuna gerarchia dettata dall’indifferenza verso lo ’straniero’.

Quanto alla bellezza della giovane operaia, è una ragione di più per essere addolorati. La bellezza in tutte le sue forme ci incanta, ci intenerisce e ci disarma, perché l’essere umano ha bisogno di armonia, come di un nutrimento essenziale per vivere.

Trovo ammirevole che la giovane, invece di usare la sua bellezza per cercare facili scorciatoie di sopravvivenza, abbia assunto pienamente la sua responsabilità di giovane ragazza madre e sia andata a lavorare in una fabbrica tessile. O vogliamo fargliene una colpa? Se poi lo sguardo si fosse posato sul viso stravolto di quella madre dolente e si fossero ascoltate le sue miti parole, forse l’arroganza del voler pontificare sempre sarebbe certamente venuta meno.

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1 Response

  1. Antonello Laiso ha detto:

    Brava Luciana.

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